ROMA – Romano Prodi stavolta si arrabbia. Quei 101 schiaffi e la figuraccia in cui il Pd lo ha esposto bruciando il suo nome per il Quirinale fanno male. E Prodi, pur evitando scientificamente di far nomi se la prende con tutti salvando solo in parte i renziani.
Del resto Prodi si era chiamato fuori dalla politica nel 2008 e, come scrive su Repubblica Luciano Nigro non voleva neppure rientrare ma è stato convinto a farlo:
Mentre ricorda che il compito che gli è stato offerto («e che molto mi onorava »), «non faceva parte dei programmi della mia vita» e prende atto che «il risultato del voto e la dinamica che è alle sue spalle» lo spingono «a ritenere che non ci siano più le condizioni» per la sua candidatura a Presidente della Repubblica. «Non voleva farlo — conferma Giulio Santagata, l’ex ministro — siamo stati noi, i suoi amici e un tempo consiglieri, a dirgli che non era un ritorno alla politica, ma una chiamata istituzionale. Era rimasto scottato in altre occasioni, resisteva, lo abbiamo convinto usando l’argomento della chia-mata istituzionale e dello spirito di servizio. Non dovevamo. Abbiamo sbagliato a credere ancora che il Pd fosse un punto di riferimento. E il Professore è stato trascinato dentro una guerra per bande che è segna la fine del Pd».
Prodi ce l’ha in primo luogo con Bersani (“chi ha sbagliato deve pagare”) ma non solo con Bersani. Le persone più vicine a Prodi parlano per lui. E descrivono un Pd e un professore
travolto dalla guerra per bande che sta facendo a pezzi il suo partito. Non sono questi i termini che usa il Professore. Lo fanno gli amici e consiglieri di un tempo. Lo dicono sottovoce perché temono che ogni parola possa essere attribuita a Prodi. Dicono che con quest’operazione il Pd ha decretato la sua fine: «Il partito è esploso, non c’è più, autodistrutto da meschinità e rancori personali ». Danno la colpa ai dalemiani,agli amici di Fioroni e a molti altri, salvando appena Renzi. Ma il Professore si guarda bene dall’indicare i nomi dei colpevoli.
I commenti sono chiusi.