ROMA – Rai, la Riforma targata Renzi e i problemi scaturiti dalla sua approvazione, primo fra tutti il fatto che l’azienda sarà fortemente dipendente dall’esecutivo, sono stati i temi principali del Convegno “Microfoni aperti”, organizzato da Maurizio Gasparri al Senato martedì 26 gennaio 2016. Al centro quello che sarà il futuro del servizio pubblico radiotelevisivo alla luce della nuova legge.
A non convincere non è solo la nuova modalità di nomina dei consiglieri del cda (quattro eletti da Camera e Senato, due nominati dal governo e uno designato dall’assemblea dei dipendenti), ma anche l’ingombrante figura dell’amministratore delegato, che potrà nominare i dirigenti, stabilire la collocazione dei giornalisti, su proposta dei direttori di testata, firmare contratti fino a 10 milioni di euro e avere massima autonomia sulla gestione economica. Aspetti cruciali della riforma, sui quali nel corso del convegno hanno espresso forti perplessità numerosi politici, esperti di comunicazione e giornalisti presenti.
In riferimento alla nuova figura dell’amministratore delegato, il vice-presidente del Senato Gasparri commenta:
“Il governo può nominare un ad con poteri di nomina sostanziali, quasi assoluti. Il cda ha solo dei poteri di interdizione, ma con maggioranze molto qualificate. Il governo finisce per controllare il servizio pubblico, che è di tutti”.
Gasparri, che ha dato nome alla legge che attualmente regola tutto il sistema televisivo e che, governante Rai a parte, resta in vigore, specifica che:
“Sicuramente chi ha maggioranze in Parlamento conta di più, ma questa è la democrazia. Un potere assoluto di vita o di morte, di nomine del governo lede i principi della Corte Costituzionale”.
Invece di soffermarci troppo sul caso della riforma della tv polacca, “guardiamo in casa nostra”, sottolinea il vice-presidente del Senato, che ha dichiarato a Il Tempo:
“Benvenuti nella Rai targata Renzi, varata con l’approvazione di una legge che decreta la fine del servizio pubblico. E il peggio deve ancora venire”.
Per Mariastella Gelmini, si tratta di “una riforma che forse anche nell’intenzione del governo vuole passare sotto silenzio, in secondo piano”. “L’influenza sarà solo di uno, il governo“, specifica l’ex ministro dell’Istruzione di Silvio Berlusconi, che aggiunge:
“Una pluralità di opinioni rischiano di essere silenziate da questa impostazione manageriale. Non si pensa a una squadra ma a un salvatore, l’ad e il direttore generale che somma su di sé tutte le funzioni”.
Più drastico l’ex ministro della pubblica amministrazione dell’ultimo Governo Berlusconi, Renato Brunetta, che si chiede quale sia a questo punto l’utilità della Commissione di Vigilanza, considerando il fatto che con l’entrata in vigore della riforma, i suoi componenti non potranno più nominare la maggioranza dei membri del cda.
Il direttore del TG LA7 Enrico Mentana pone l’accento sulla generale invadenza della politica nella Rai, evidenziando come la riforma la riporti in mano all’esecutivo.
“Nessun partito ha mai fatto niente per sottrarre all’editore Parlamento il controllo della Rai”, ricorda il giornalista.
Mentana si dichiara “radicalmente avverso” al fatto che sia la politica a eleggere i vertici dell’azienda, intervenendo nella sua gestione”. “Al cittadino Mentana interessa una Rai libera dai partiti”, conclude il direttore, che di ingerenza politica in Rai se ne intende, con la esperienza fatta da vice direttore del Tg1 in quota socialista.
Presente al convegno anche il patron de La7, Urbano Cairo, che ha colto l’occasione per prendere di mira un altro aspetto del servizio pubblico, la presenza massiccia della pubblicità:
“Con il canone in bolletta la Rai avrà 250, 300 milioni in più – afferma Cairo – Ma la stessa quota di pubblicità, in un momento in cui il settore è allo stremo. E poi siamo sicuri che il tg di Mentana non faccia più servizio pubblico di loro?”.
Sulla necessità che la riforma della Rai non metta a rischio il pluralismo dell’informazione, si sono soffermati tanto il giornalista Arturo Diaconale (membro del cda Rai), quanto il presidente del Gruppo Misto alla Camera Giuseppe Pisicchio. Franco Siddi, anche lui consigliere del cda, precisa che:
“Il cda deve garantire il miglior servizio pubblico, un’informazione pluralista”. La Rai “deve essere radicata nei territori e dove non c’è deve fare di tutto per coprire quei territori, deve fare ciò che il privato non è obbligato a fare. Io credo fermamente nel servizio pubblico”. Siddi aggiunge: “Vorrei un Parlamento che stimola e aiuta la Rai a fare meglio”.
Il concetto di radicamento nel territorio è comune anche ad Augusto Minzolini, ex direttore del Tg1 e senatore di Forza Italia, per il quale: “La Rai deve rimanere una pelle che descrive il Paese (…). E non parlare solo a una parte del Paese, quella che ha eletto la maggioranza”.