Rampelli, un boxeur prestato alla politica. Dichiarò guerra ai cotton fioc

di Dini Casali
Pubblicato il 7 Luglio 2010 - 14:37| Aggiornato il 17 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA

Il deputato Fabio Rampelli

L’ultimo fotogramma lo coglie allacciato al rivale dipietrista Barbato, omaggiato fra l’altro da un preciso destro al volto: Fabio Rampelli si prende la scena dopo la rissa da saloon scoppiata alla Camera. L’ex campioncino di nuoto ( ha difeso i colori azzurri a Berlino ’78) doveva essere proprio arrabbiato per le critiche al progetto di sostegno alle politiche giovanili della pupilla Giorgia Meloni. La sua carriera politica è stata contrassegnata da un’ascesa costante e progressiva e adesso può vantare un cursus honorum di tutto rispetto, dalle adunate del Fronte della Gioventù allo scranno parlamentare.

Nella geografia del potere Rampelli ha un ruolo poco visibile ma molto importante, soprattutto nel Lazio, dove con Alemanno e Augello è il vero uomo forte. Fa parte della schiera dei tanti colonnelli che a suo tempo veneravano Fini. Da architetto ha criticato le torri di Piano, voleva buttare giù il Serpentone (il gigantesco palazzone del Corviale a Roma), giudica un suo capolavoro politico la riqualificazione del parco di Tor Marancia, la nuova Ara Pacis lo disgusta.

Quando era in Alleanza Nazionale si è distinto dichiarando coraggiosamente guerra ai bastoncini netta-orecchie. Non ha ancora digerito la restituzione della stele di Axum all’Etiopia. Da membro della commissione Cultura della Camera ha voluto esternare tutta la preoccupazione per l’aumento di stranieri nelle classi dei nostri figli. Alle ultime regionali si è speso per includere nel centrodestra le liste La Destra e La Fiamma. Atlantista convinto, il 28 maggio 1989 venne arrestato insieme al camerata Alemanno per gli incidenti scatenati alla visita a Nettuno di Bush senior e consorte. Durante la presidenza Storace nel Lazio ha presentato una mozione per istituire una commissione di esperti incaricata di depurare la faziosità dei libri di storia con il vizio dell’antifascismo.