Le Regioni non mollano le “ambasciatine”: 178 sedi estere = 40 milioni di €

Roberto Cota (Lapresse)

ROMA – Avete mai sentito un presidente di Regione o un consigliere regionale parlare in inglese? No? Qualche maligno potrebbe rispondere che nei discorsi degli amministratori locali fa fatica a farsi strada l’italiano. Eppure dalla Sicilia al Piemonte non c’è regione che voglia negarsi un’ambasciatina, una sede all’estero, una finestra internazionale per fare entrare un po d’aria di mondo nella asfittica politica locale. Sono 178 le “finestre” delle regioni italiane all’estero. Ma sono finestre costose che, secondo quanto scrive Francesco Specchia su Libero, ha prodotto nei bilanci regionali un buco di 40 milioni di euro. Allora, in tempo di crisi e di tagli alla spesa pubblica, le esigenze di cassa imporrebbero di chiuderle, quelle finestre. Purtroppo però molti “governatori” da quell’orecchio non ci sentono.

Bruxelles. Nessuno vuole negarsi una sede di rappresentanza nel cuore dell’Europa politica. Secondo quanto si legge su Libero:

Brilla di un’agiatezza romantica, di un signorile vezzo sabaudo, la sede europea della Regione Piemonte in via Rue de Trone 62, nel cuore della Bruxelles burocratica. Signorile. E di dimensioni aeroportuali: 400 mq in un palazzo di 2.597 metri quadrati, in parte affittati ad altri enti (compreso un piano intero della Puglia di Vendola per 1.855.0000 euro, più 600.000 euro di spese edili, comprato «perché così si risparmiano le spese dell’affitto…») per un costo lieve di 9 milioni e 246 mila euro. Poi c’erano Toscana, Lazio, Umbria e Marche ritrovatesi tutte nello stesso edificio, a Rond Point Schuman 14. Toscana e Lazio furono le prime inquiline e ciascuna pagò ben 3.900.000 euro per circa 600 mq, più garage e cantina. Poi arrivarono Marche e Umbria, occupando un piano e dividendo la cifra per due. E poi, via via, tutte le altre: “Casa Abruzzo”, “Casa Campania”, “Casa Veneto”, “Casa Marche”. Un tripudio di sportelli, sedi, missioni che mai occhio umano vide.

Bruxelles è così importante che la Toscana chiude tutti i sette uffici di rappresentanza – New York, Shangai, Mosca, Francoforte, Buenos Aires, San Paolo, Abu Dhabi – eccetto quello della capitale belga. Che, però, è appunto il palazzo di Rond Point Schuman, di fronte alla sede della Commissione europea: costo annuale circa 370mila euro.

Anche l’Emilia Romagna sta chiudendo le sue “finestre internazionali”. Fra giugno e luglio del 2010 sono stati chiusi gli uffici di Sofia e di Belgrado. Ma Specchia scrive che resteranno in funzione, oltre all’irrinunciabile Bruxelles

la convenzione con il consolato italiano a Gerusalemme, 42.825 euro da gennaio a settembre 2010 tra indennità riconosciute al personale e spese di funzionamento dell’ufficio; e quella con lo Stato brasiliano di Paranà, a Curitiba, 40.841 euro da gennaio a settembre per le indennità del funzionario regionale all’estero. E uno, certo, si chiede cosa faccia un funzionario emiliano a Curiba tutto l’anno, ma qui entriamo nel metafisico.

Tagli alle sedi parrebbero previsti anche per l’Umbria (che rimane a Bruxelles, ma abbatte i costi di 12mila euro); e per l’Abruzzo di Gianni Chiodi, che così risponde al suo consigliere giustamente inviperito Cesare D’Alessandro: «L’azione di razionalizzazione del Governo regionale, legata soprattutto all’economia di spesa, ha portato alla chiusura di due sedi all’estero: si tratta della sede in Brasile, il cui costo mensile di gestione ammontava ad oltre 47mila euro, e della sede in Romania, che aveva un costo mensile di circa 16mila euro. Entrambe le sedi erano state aperte dalla precedente Giunta regionale guidata da Ottaviano Del Turco».

Notare la pennellata finale sulle abitudini di Del Turco, che fanno molto socialisti anni ’80. Rimane, naturalmente, la solita sede di Bruxelles, anche se pare vaporizzato il dirigente colà addetto, costo fisso da 200mila euro. In Veneto, poi, Luca Zaia ha avviato una disamina costi-benefici facendo sapere che la presenza di «punti d’appoggio» del Veneto dall’Uzbekistan al Vietnam «non è onerosa» per la Regione; pure se non è dato sapere che fine abbiano fatto l’ufficio in Bielorussia, il localino in Bosnia e a Portorico, i tre «punti d’appoggio» in Romania, i quattro negli Usa e in Bulgaria e il consolato in Turchia, mitica porta d’Oriente sin dai tempi della Serenissima. Ovviamente, resta la strepitosa sede belga.

Se il Veneto di Zaia ritiene necessarie le sue 61 ambasciatine, neanche il Piemonte di Roberto Cota vuole negarsi le sue sedi diplomatiche: le “Antenne Piemonte” si sono spinte anche in Lettonia e in Corea del sud. E i “point” della Lombardia di Roberto Formigoni sono presenti in Cina, Argentina, Russia, Brasile. Mentre le Marche hanno nove uffici all’estero, di cui quattro in Cina. Manie di gigantismo? E allora che dire della Valle d’Aosta, 124 mila abitanti e 28 “distaccamenti” fuori dai confini italiani? Meno male che c’è la Campania, che pensa in grande e guarda alla Grande Mela. Scrive Specchia:

L’allora presidente Antonio Bassolino inaugurava a Manhattan – ospite Isabella Rossellini – la sua sede in locazione per 140mila euro l’anno, visitata per lo più da Sandra Lonardo Mastella e occupata tre «addetti alla promozione » nessuno dei quali parlava inglese.

E poi c’è l’inimitabile Sicilia, così raccontata da Specchia:

Per non dire degli onorevoli dell’Ars siciliana che, come in un film di Coppola, volavano allegramente e spesso nella sede istituzionale nell’Empire State Building a New York. Ed è abbastanza succosa la recente sentenza (vivaddio e per una volta Raffaele Lombardo) del Tar di Palermo, che ha respinto il ricorso del sindacato Cobas-Codir, in merito alle delibere della Giunta regionale sull’organizzazione dell’ufficio di Bruxelles. Ufficio il cui ridimensionamento (da 4 a 2 unità) era stato respinto proprio dai sindacati che, a spanne, ne avevano quantificato l’organico «in 6 dipendenti». Sei siciliani a Bruxelles. Sei, tra cui un dirigente con impellente necessità di aumentarsi l’indennità estera del 15%.

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