Matteo Renzi come Hernan Cortes: manovra da 25 miliardi il suo punto di non ritorno

di Redazione Blitz
Pubblicato il 29 Aprile 2014 - 10:07 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi come Hernan Cortes: manovra da 25 miliardi il suo punto di non ritorno

Matteo Renzi, presidente del Consiglio (LaPresse)

ROMA – Il governo di Matteo Renzi dovrà trovare 25 miliardi di euro nella manovra finanziaria d’autunno, la Legge di Stabilità 2015. Lo scrive Federico Fubini su Repubblica, rilanciando le perplessità della Banca d’Italia sulle scelte del presidente del Consiglio. Che vuole continuare sulla strada del bonus di 80 euro per i dipendenti con redditi medio-bassi anche nel 2015. E quindi dovrà recuperare 10 miliardi, ai quali se ne aggiungono 5 per ridurre il deficit e altri dieci per gli impegni già presi dal governo Letta. Secondo Fubini, Renzi (o “Silvio Renzi”, come lo chiamano i tedeschi) è arrivato a un punto di non ritorno, forse intenzionalmente, come fece Hernán Cortés:

La leggenda vuole che il conquistatore Hernán Cortés, sbarcato in Messico, abbia fatto bruciare le navi. Solo così era sicuro che i suoi non avrebbero disertato per tornare indietro. Una versione aggiornata della scelta di Cortes è la manovra di Matteo Renzi in ottobre. Perché la correzione dei conti può arrivare fino a 25 miliardi. L’equivalente delle navi al rogo, l’addio alla via di fuga, sono gli impegni che il premier ha già preso, oltre a quelli che eredita dal governo precedente. Renzi ha promesso di rendere permanenti sgravi fiscali per dieci miliardi l’anno (lo 0,7% del Pil) per i redditi medio-bassi. Poiché il governo propone alla Commissione Ue di rallentare il passo del risanamento del bilancio quest’anno per poi accelerare nel 2015, Renzi resta senza alternative. Si è bruciato le navi alle spalle. Può solo avanzare come Cortés, cioè procedere a tagli di spesa sei volte più ampi di quelli da circa tre miliardi annunciati sul 2014. E’ una cura radicale, se il premier ne avrà la forza politica. L’alternativa sarebbe una deriva dei conti o il tornare indietro sulla promessa dei 10 miliardi che ormai è diventata la sua cifra.

Recita infatti il Documento di economia e finanza (Def) pubblicato questo mese: “Nel 2015 e 2016 il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali richiederà misure aggiuntive per colmare il gap residuo, che il governo ipotizza perverranno unicamente dalla spesa”.

Fubini spiega come il porti a 25 miliardi il combinato disposto di legge di Stabilità 2014, scadenze da rispettare sulla correzione dei conti pubblici, di rifinanziamento di Cassa integrazione, ammortizzatori sociali, sussidi, manutenzione strade, missioni all’estero:

La legge di stabilità di Letta, ovviamente in vigore, prevede una scansione precisa di eventi. Per esempio, dice che «entro il 31 luglio del 2014» devono essere definiti tagli alla spesa per 500 milioni nel 2014, 1,4 miliardi nel 2015 e 1,9 nel 2016. Non solo. In base alla legge di stabilità in vigore il governo deve definire con un decreto del presidente del Consiglio «da adottare entro il 15 gennaio 2015» (come ricorda Reuters) un’ulteriore correzione dei conti da tre miliardi nel 2015, che sale a sette miliardi nel 2016 e dieci miliardi nel 2017. Così il conto della manovra per l’anno prossimo sale già a 19 miliardi. Ci sono poi spese difficilmente evitabili, per le emergenze sociali e per gli impegni internazionali dell’Italia. La cassa integrazione in deroga e le missioni all’estero vanno rifinanziate. In più ci sono altri ammortizzatori sociali, i sussidi all’autotrasporto, la manutenzione di strade e ferrovie. Solo per la Cig in deroga, quella per i dipendenti sospesi dalle piccole imprese, serve un altro miliardo nel 2014. E per l’insieme di queste spese incomprimibili il Def stima che, a politiche invariate, si debbano trovare sei miliardi nel 2015 (ai quali ne vanno aggiunti tre nel 2016). Sale così a 25 miliardi il conto potenziale della correzione dei conti che Renzi deve varare con legge di stabilità prevista per metà ottobre. È circa l’1,7% del Pil.

Una botta da 25 miliardi dovrebbe arrivare sul collo di un Paese che da vent’anni sopporta politiche di austerity ed è in avanzo primario: vuol dire che da due decenni l’Italia incassa in tasse più di quello che spende, al netto della spesa per gli interessi sul debito, che costano 80 miliardi all’anno. Una botta da 25 miliardi dopo tre mazzate da 67 miliardi che gli italiani hanno subito in tre manovre finanziarie fra il 2011 e il 2013. È una strada così difficile che, secondo Fubini, Renzi potrebbe imboccare la scorciatoia delle elezioni:

la Banca d’Italia ha già detto che «nel 2015 i risparmi di spesa indicati non sarebbero sufficienti, da soli, a conseguire gli obiettivi programmatici». Ma Renzi si è bruciato le navi alle spalle, perché ha fatto la sua promessa sugli sgravi Irpef. Dovrà andare avanti a tagliare o incrociare le dita e sperare di rinegoziare gli impegni con l’Europa, oltre quanto ha già chiesto per il 2014. L’alternativa sarebbe una via di fuga laterale: elezioni in autunno. Ma questa, naturalmente, è tutta un’altra storia.