ROMA – Un contratto unico, a tempo indeterminato, con un sistema di “tutela crescente” nel tempo. Matteo Renzi presenta il piano, quello che forse per rendere più “innovativo” chiama Job act. E di novità, nell’idea del neo segretario del Pd, in effetti ce ne sono. A cominciare da quell’articolo 18 che Renzi non elimina ma di fatto posticipa. Perché di reintegro non si parla per i primi tre anni dopo l’assunzione. Una questione, quella del licenziamento, non risolta ma posticipata di tre anni.
Sempre nel piano Renzi arriva il sussidio di disoccupazione e una maggiore tutela per i cosiddetti lavori atipici. A presentare nel dettaglio il Job Act (che prima ancora di assumere una sua forma ufficiale e definitiva è stato già oggetto di attacchi dal viceministro Pd Stefano Fassina e dal leader della Fiom Maurizio Landini) è Roberto Mania su Repubblica.
Se un contratto è a tempo per esigenze produttive non può surrettiziamente trasformarsi in contratto a tempo indeterminato attraverso una serie di pause e rinnovi. Stesso ragionamento per i contratti interinali. Da qui l’idea di un contratto unico, sulla scia delle proposte già avanzate da tempo dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi e dal giuslavorista Pietro Ichino.
La discussione è ancora aperta ma sembra prevalere l’impostazione (modello Boeri-Garibaldi) in base alla quale i neoassunti verrebbero esclusi dall’applicazione dell’articolo 18 per i primi tre anni, durante i quali, peraltro, l’imprenditore non pagherebbe i contributi che sarebbero a carico dello Stato. Mentre per i lavoratori flessibili il progetto prevede l’estensione delle tutele: dalla maternità alla malattia.
Chi perderà il lavoro avrà diritto a un sussidio di disoccupazione universale al posto dell’attuale cassa integrazione. Sarà uguale per tutti, senza distinzione in base alle dimensioni dell’azienda, all’area geografica, all’età anagrafica. Nel ragionamento della squadra di Renzi sarà il «paracadute » per tutti, visto che attualmente solo un lavoratore su tre ha diritto alla cassa integrazione, e che compenserà la maggiore flessibilità in uscita. Renzi punta a rafforzare lo schema già introdotto dalla Fornero con l’Aspi (l’assicurazione sociale per l’impiego).E guarda al modello tedesco, a quel “pacchetto Hartz” che dal 2005 ha sostenuto la ripresa della Germania: sussidio di disoccupazione e obbligo di frequentare un percorso di formazione. «Riqualificazione e formazione devono essere gli obiettivi per far funzionare il mercato del lavoro», spiegano i renziani. In sostanza il sussidio diventerebbe il paracadute, la formazione la leva per rientrare nel mercato attivo del lavoro.
oggi intermediano meno del 5 per cento delle assunzioni contro, per esempio, un 20 per cento in Gran Bretagna. Il Pd sta ragionando sulla possibilità di integrare il servizio dei centri pubblici con quello delle agenzie private per il lavoro.
Il segretario del Pd pensa che, tanto più in una fase di crisi della rappresentatività dei soggetti sociali, si debba misurare il peso di ciascun sindacato. Serve dunque una legge sulla rappresentatività. Un cavallo di battaglia della Cgil e della Fiom che, anche a causa dell’assenza di un normativa di questo tipo, è stata esclusa dai tavoli negoziali con la Fiat di Sergio Marchionne. Certo, Renzi su que-sto si imbatterà sulla contrarietà della Cisl di Raffaele Bonanni, che considera questa materia di competenza delle parti sociali. E Renzi rischia di trovare il muro della Confindustria per frenare l’altra proposta sui sindacati: quella di far entrare i rappresentanti dei lavoratori (anche qui il modello tedesco) nei consigli di amministrazione delle aziende. Gli industriali si sono sempre opposti a questa eventualità. Comunque il “Piano per il lavoro” sarà oggetto di confronto con tutte le parti sociali, con la maggioranza e con il governo.
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