Mancini “uomo di Alemanno”. Il suo arresto inciderà sulle elezioni a Roma?

ROMA – L’arresto di Riccardo Mancini, ex ad di Eur Spa e fidatissimo di Gianni Alemanno, non è solo il naturale epilogo di un’inchiesta di appalti e corruzione, ma è soprattutto un terremoto politico che frana sotto i piedi del sindaco di Roma, di nuovo in corsa per il Campidoglio. Tanto che il Pd capitolino si è scatenato e invoca le dimissioni del sindaco parlando di “ennesimo colpo al cerchio magico di Alemanno”. Il quadro è il seguente: a meno di due mesi dalle elezioni comunali, il braccio destro di Alemanno è finito in manette perché accusato di aver intascato una presunta maxi tangente da 600mila euro per oleare il cosiddetto sistema “Lobby Rome”. Un sistema collaudato di “pagamenti alla politica romana” di area Pdl, secondo le stesse parole del gip Stefano Aprile, e con al centro il sindaco di Roma.

Ed è proprio il rapporto tra il manager e il primo cittadino che viene scandagliato nelle 60 pagine dell’ordinanza del gip, non risparmiando un’analisi  sulla gestione dell’amministrazione. Di quei 600 mila euro, cinquecentomila sarebbero finiti nelle tasche di Mancini. Una mazzetta che avrebbe consentito alla Breda Menarini di ottenere una commessa di 45 filobus per Roma. I restanti 100 erano destinati a Marco Iannilli, commercialista legato a Lorenzo Cola, ex consulente esterno di Finmeccanica.

Il giudice Stefano Aprile precisa, in primo luogo, che le intercettazioni che registrano i rapporti tra i due ”sono allo stato irrilevanti per dimostrare una diretta partecipazione di Alemanno all’illecita azione” ma sono ”tuttavia idonee a dimostrare l’esistenza di un rapporto con Mancini che va ben oltre quello personale”. Il manager, per il gip, è ”in totale subordinazione” del sindaco ed è ”uomo di Alemanno nei confronti del quale è in totale soggezione”: Mancini, rileva il gip, aveva il ruolo ufficiale di ad dell’Ente Eur  ma ”aveva ricevuto una pubblica investitura dal sindaco ad occuparsi del settore dei trasporti e della mobilità nonché ad intrattenere rapporti diretti con le imprese del settore, che, avevano la certezza di conferire con un soggetto influente”. E riceve i suoi interlocutori ”presso l’assessorato ai trasporti”.

Per chi indaga siamo in presenza di un ”vulnus genetico” che ha determinato ”quell’illecita confusione tra politica, amministrazione, impresa e interessi privati eletta a sistema di potere in forza del quale la parola del vertice costituisce un ampio e generico ‘affidavit’ rilasciato alle persone di sua fiducia”. Nell’ordinanza l’intera operazione dell’appalto viene vista come finalizzata solo a creare una “provvista necessaria  per pagare una tangente a Mancini, uomo forte della nuova amministrazione comunale”. Lorenzo Borgogni, ex relazioni esterne Finmeccanica, lo definisce ”plenipotenziario di Alemanno nel settore trasporti”.  Inoltre Mancini, osserva il gip, riceveva i suoi interlocutori ”presso lo studio dell’assessore ai trasporti e mobilità del comune di Roma”. Il giudice aggiunge, infine, che ”non si può dubitare che tale ruolo o posizione siano stati assunti da Mancini all’insaputa o addirittura contro il volere del vertice dell’amministrazione”. A testimonianza del rapporto ”oltre il personale” tra Mancini e Alemanno il gip ricorda inoltre ”il ruolo delicatissimo e centrale svolto da Mancini nelle campagne elettorali del sindaco Alemanno ricevendo, tra l’altro, contributi elettorali destinati a sostegno del personaggio politico”.

Ma un altro aspetto, colto appieno dal quotidiano la Stampa, è quello di un centrodestra romano ancora fortemente legato ai simboli neofascisti e nazisti. Scrive il quotidiano torinese:

Tanto per capirci: un quadro di Hitler era nella camera da letto di Lorenzo Cola (indagato), ex consulente di Finmeccanica coinvolto nella vicenda Fastweb-Telecom Sparkle. A casa sua c’era anche un busto di Mussolini e una riproduzione di una divisione delle SS in miniatura. E nella telefonata, intercettata lo scorso 20 settembre, tra Mancini e Alemanno, ritorna protagonista «Er Batman». Il sindaco, infatti, «riferendosi alla vicenda che ha coinvolto il capogruppo regionale Pdl Franco Fiorito, gli chiede esplicitamente se costui avesse finanziato una fondazione che definisce “nostra”». Si tratta della fondazione «Nuova Italia» che ieri mattina è stata perquisita dagli investigatori, oltre a numerosi uffici e appartamenti privati di Mancini e degli altri indagati.

A ciò si aggiungono le amicizie ingombranti e i trascorsi di Mancini, uomo scelto di Alemanno:

Mancini ha 55 anni, precedenti per detenzione di armi e un’amicizia scomoda con Massimo Carminati, tra i fondatori dei Nar e vicino della Banda della Magliana (a Carminati è ispirato il personaggio del «Nero» nel libro «Romanzo Criminale»).

Ora, a meno di sessanta giorni dall’appuntamento elettorale, sono molti quelli che si chiedono se il suo arresto inciderà sul voto. Di certo è un duro colpo all’immagine, già incrinata, dell’amministrazione Alemanno. E se il Pdl si arrocca e parla di ”giustizia ad orologeria”. Umberto Marroni, capogruppo Pd, risponde a stretto giro: “Altro che a orologeria, prima delle elezioni politiche erano state smentite intercettazioni tra il sindaco e Mancini. E ora? Ci aspettano nuove sorprese su Alemanno? Dovrebbe valutare di dimettersi subito”.

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