Riforma Senato, governo sotto su emendamento Sel

Riforma Senato, governo sotto su emendamento Sel
Riforma Senato, governo sotto su emendamento Sel

ROMA – Al Senato  si procede a tappe forzate per cercare di arrivare al via libera finale della riforma del Senato entro giovedì: la conferenza dei capigruppo ha deciso di procedere con una seduta non stop, giovedì, finchè non verrà approvato il ddl.

Ma i rischi restano dietro l’angolo e mercoledì sera su un emendamento Sel all’art. 30 che modifica il Titolo V il Governo va ko, inciampando per la seconda volta sul voto segreto.

L’apertura dei relatori sui referendum non trova inoltre il plauso di Sel anche se, nel frattempo, sono stati licenziati altri due pilastri delle riforme volute da Matteo Renzi: la soppressione del Cnel e delle Province.

E’ a tarda sera, nel mezzo di un dibattito tornato acceso, che si è nascosta l’insidia per il Governo. Su un emendamento Sel che pone sotto competenza delle Regioni la rappresentanza in Parlamento delle minoranze linguistiche e votato, su richiesta della Lega, a scrutinio segreto l’esecutivo va sotto per 5 voti e il sospetto che i franchi tiratori continuino a stazionare nella maggioranza torna a farsi prepotentemente avanti.

Tanto che Giorgio Tonini, vice capogruppo Pd al Senato, sottolinea come il ‘peso’ concreto dell’emendamento sia marginale. Ma non lo è quello politico. L’emendamento “è privo di portata normativa, è illogico”, denuncia in Aula la relatrice Pd Anna Finocchiaro invitando a “non insistere” più su emendamenti “in contrasto con i principi dell’ordinamento”. Dopo i rinvii delle ore scorse è arrivata invece l’apertura dei relatori su alcuni dei punti più delicati del testo. Sui referendum, Finocchiaro e Calderoli hanno presentato un emendamento per riportare le firme da 800mila a 500mila, relegando tuttavia l’abbassamento del quorum per l’approvazione – pari alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni – solo al primo caso.

E trovando, per questo, il parere negativo di Sel, che ha già annunciato la presentazione di diversi subemendamenti. Con un altro emendamento, i relatori hanno invece introdotto la possibilità di referendum propositivi e d’indirizzo ed hanno abbassato da 250mila a 150mila le firme necessarie per le leggi d’iniziativa popolare. Resta invece invariato l’art. 21 del ddl sull’elezione del Capo dello Stato, il primo degli otto approvati mercoledì.

Platea e quorum restano quelli previsti dal testo uscito in Commissione (esclusi i tre delegati regionali, dopo il quarto scrutinio vale la maggioranza dei 3/5 dell’assemblea, dopo l’ottavo, è sufficiente la maggioranza assoluta) con il ministro Maria Elena Boschi che si è comunque impegnata a valutare ulteriori modifiche alla Camera.

L’esclusione del potere di dare la fiducia al Governo per il futuro Senato, la soppressione del Cnel e l’abolizione delle Province dalla Carta sono gli altri punti incassati nell’iter del ddl, arenatosi tuttavia all’art. 30 relativo alle modifiche al Titolo V, ‘in onore’ del quale sono rientrati pressoché stabilmente in Aula anche i 5 Stelle. Sembra allontanarsi quindi l’obiettivo di arrivare all’ok finale già giovedì, obiettivo dettato anche dall’ arrivo al Senato del dl competitività. Ma le incognite restano, come l’ipotesi – data per più che probabile – che al momento delle dichiarazioni di voto finali i ‘frondisti’ FI che fanno capo a Raffaele Fitto dichiarino il proprio ‘distacco’ dal voto del gruppo.

E su tutto potrebbe anche aleggiare l’ombra dei dati sul Pil snocciolati dall’Istat: il presidente Pietro Grasso, replicando ad una lettera del M5S, ha spiegato che sono in corso contatti con il ministro dell’Economia Padoan per verificare la sua disponibilità ad intervenire in Aula.

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