ROMA – Finanziamenti ai partiti addio. Il governo Letta sembra deciso: l’accordo c’è e con ritardo di appena 20 anni sembra che il referendum del ’93, che con il 90% ne aveva chiesto al cancellazione, possa finalmente essere ascoltato. Ma come si finanzieranno i partiti? Il progetto del governo prevede una forma di finanziamento volontario attraverso le tasse, un uno per mille destinabile ad un partito. Esattamente come succede con l’8 per mille e le varie Chiese. Un sistema che, secondo i conti di Repubblica, penalizzerebbe in particolar modo il Pd e in qualche modo avvantaggerebbe la Lega Nord.
La certezza, scrive Repubblica, è con questo sistema la “torta” a disposizione dei partiti si ridurrà in modo forte. E soprattutto non rispecchierà il numero dei voti ma la capacità di radicarsi sul territorio. Scrive Ettore Livini:
“Se passerà la linea — attualmente più gettonata — di donazioni dirette (con l’indicazione del gruppo destinatario nella dichiarazione dei redditi) la mappa delle entrate della “Politica Spa” rischia di essere ridisegnata. A tutto vantaggio dei partiti — come la Lega — radicati nelle aree più ricche e popolate del paese”.
Ma come cambieranno le cose? Cambieranno e molto perché secondo la Corte dei Conti da quando vige il regime dei rimborsi elettorali i partiti hanno incassato 2,4 miliardi di euro. 159 milioni sono quelli che spettano alle forze politiche dopo le ultime elezioni:45 al Pd, 42 a M5s che però non li incasserà e 38 circa al Pdl. E da ora in poi? Spiega Livini:
Dirlo con precisione, come ovvio, è impossibile. La donazione è volontaria e nessuno si azzarda a fare previsioni. Anche se il livello di popolarità delle formazioni più tradizionali non induce i loro tesorieri a grande ottimismo. Qualche punto fermo però può essere messo. L’otto per mille, per dire, garantisce oggi un gettito pari a più di un miliardo l’anno. Ma è obbligatorio per tutti e anche chi non sceglie a chi girarlo vede stornata proporzionalmente la sua quota sulle realtà indicate dagli altri. Meglio allora fare riferimento al 5 per mille, la quota di reddito che può essere versata a onlus, associazioni sportive,ospedali o istituti di ricerca in modo volontario.
Nel 2011, 16,7 milioni di italiani, più o meno la metà della platea dei contribuenti, hanno deciso di devolvere un pezzo del loro reddito — in media 23 euro a testa — a fin di bene, mettendo sul piatto 391 milioni. Se lo stesso numero di persone — ma siamo a livello di pura utopia — decidesse di dare un altro un per mille ai partiti, la torta a loro disposizione sarebbe di 78 milioni l’anno. Cifra su cui a Roma tutti metterebbero la firma. Se a finanziare la politica fossero invece solo 5 milioni di italiani, l’intero arco costituzionale tricolore si dividerebbe 23 milioni l’anno, 125 per una legislatura. Un quarto dei quattrini intascati nel 2008.
Infine come dividere la torta. Spiega ancora Repubblica:
Le ipotesi sono due: la prima ventilata è la costituzione di un “monte-finanziamenti” collettivo alimentato dall’uno per mille da spartire poi tra i partiti in base ai risultati elettorali. La strada più probabile (e più rispettosa del volere del singolo contribuente) è però quella secondo cui ogni cittadino indica direttamente il nome del partito cui girare l’uno per mille. E in questo caso a stabilire vincitori e vinti sarebbe la mappa dell’Irpef tricolore, premiando le formazioni forti nelle aree più ricche del paese. L’un per mille di tutte le dichiarazioni lombarde, per dire, ammonta a 41 milioni l’anno, quello del Lazio a 22. In Campania, dove i redditi sono minori, scendiamo già a 14, in Sicilia a 8. Emilia, Toscana e Umbria — le tradizionali roccaforti rosse — hanno un gettito potenziale di 31 milioni mentre la “macroregione Padana” feudo dei “barbari sognanti” della Lega (Piemonte, Lombardia e Veneto) vale 72 milioni. Ben 15 in più rispetto a tutta l’Italia dal Lazio (incluso) in giù, isole comprese. Con l’effetto che ad essere avvantaggiate saranno le forze più radicate al nord (Pdl e Lega) e penalizzate le altre,compreso il Pd.
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