A Roma esordio del manifesto politico in linguaggio mafioso

Alemanno, sindaco di Roma, ha formato la sua nuova Giunta: auguri. Durante la crisi, rimpasto, azzeramento, ripartenza del governo di Roma è successo in città qualcosa di strano e inconsueto. Non proprio in Campidoglio, ma era al Campidoglio che “qualcuno” parlava. Con “voci di dentro” che gridavano da fuori, con una pioggia di manifesti affissi in ogni quartiere. Manifesti sostanzialmente anonimi ma “firmati” e redatti in maniera che chi doveva capire…capiva. Uno dei manifesti, stampato e affisso a migliaia, diceva: “Gli eletti dal popolo non si toccano”. Firma: “Il popolo della verità”. Non era, par di capire a noi che non siamo tra quelli che “devono” capire, uno scherzoso fare il verso al “Popolo della Libertà” cui il sindaco, la giunta e la maggioranza appartengono. Era un monito, un avvertimento, firmato in quel modo perché si capisse che era “interno”. E l’avvertimento a “non toccare gli eletti dal popolo” doveva essere un altolà a toccare certi eletti, certi assessori. Quali? Al cittadino romano non è dato sapere nè capire, era Alemanno che doveva capire. Se abbia “capito” o no non è dato sapere. Un altro manifesto, ancora più criptico per il cittadino comune e sempre firmato “Popolo della Verità” diceva a caratteri cubitali: “No al doppio incarico”. Quale incarico, di chi? Quale doppio incarico l’avvertimento doveva bloccare? Qualcuno quei manifesti li ha pagati, stampati, pensati e messi in città. Perché qualcun altro, non certo la gente per strada, “capisse”. E’ stato l’esordio della comunicazione, del linguaggio, della semantica “mafiosa” in politica. Avvertimenti, messaggi, segnali, allusioni mirate ma in codice.

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