Caso Ruby, il procuratore Bruti Liberati: “Berlusconi non è indagato”

Pubblicato il 4 Novembre 2010 - 21:44| Aggiornato il 5 Novembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il lavoro degli inquirenti prosegue nel riserbo, ma ”per ragioni istituzionali, però, continuo a dire che Berlusconi non è iscritto nel registro degli indagati”. Con queste parole il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, che ieri aveva sottolineato che ”noi perseguiamo reati e non ci interessiamo della vita privata delle persone”, ha ribadito oggi che quello del premier non è tra i nomi iscritti nell’inchiesta per favoreggiamento delle prostituzione con al centro la giovane marocchina Ruby.

”Tutto quello che è iscritto nel registro degli indagati non può essere comunicato”, ha aggiunto il capo della Procura, facendo poi riferimento a ”ragioni istituzionali” che lo spingono a dover precisare, come aveva già fatto nei giorni scorsi, che Berlusconi non è indagato.

Nel frattempo, si è aperto un ‘giallo’ su alcune misteriose effrazioni negli uffici dei gip, compreso quello del giudice che ha disposto le intercettazioni nell’ambito dell’inchiesta. Qualcuno è entrato di nascosto nell’ufficio del gip Cristina Di Censo, lo scorso agosto, e poi due giorni dopo è stata forzata la porta e scassinato un armadietto nelle stanze del presidente dei gip Gabriella Manfrin.

Non è stato portato via alcunché, anche perché gli atti dell’indagine erano già sottoposti da tempo a misure particolari di sicurezza, e fonti giudiziarie parlano di ”effrazioni grossolane”. La Procura sta comunque indagando sugli episodi, anche se si ritiene al momento che non ci siano ”collegamenti” con l’inchiesta sul caso Ruby e i magistrati spiegano che ”non c’e’ alcuna preoccupazione”. La vigilanza sui fascicoli è stata ad ogni modo rafforzata.

Intanto, i pm oggi si sono concentrati soprattutto sulla rilettura degli atti, tra cui le numerose intercettazioni, di un’inchiesta che ha tre aspetti da chiarire: la parte del favoreggiamento della prostituzione; le telefonate di Silvio Berlusconi e del suo caposcorta ai funzionari di polizia; il ruolo della consigliera regionale Nicole Minetti a cui era stata affidata la giovane, che invece finì a vivere a casa di una sua amica brasiliana.

A ciò si aggiunge il fascicolo arrivato l’altro ieri da Palermo nato dalle dichiarazioni di Perla Genovesi, agli arresti domiciliari in un’inchiesta per traffico di droga, e della escort Nadia Macrì che ha messo a verbale il racconto di presunti festini a luci rosse nelle residenze del premier.

Il caso Ruby e il caso Macrì, ha precisato Bruti Liberati, al momento restano ”disgiunti”, ma affidati allo stesso pm Antonio Sangermano che ha passato parte della giornata a leggere i verbali della escort che tirano in ballo Emilio Fede e Lele Mora, già indagati per favoreggiamento della prostituzione nell’indagine nata anche dai racconti della marocchina. Un’inchiesta quest’ultima dove al vaglio non ci sono ”né video, né foto”, come ha affermato Bruti Liberati.

Oggi la Macrì avrebbe dovuto dare la sua versione in una conferenza stampa. Incontro che è stato annullato perché, come hanno spiegato i suoi legali, alla donna ”è stato imposto, dall’autorità giudiziaria dalla quale è stata chiamata, il divieto di divulgare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine ed in merito ai quali è stata sentita”.

La Procura di Milano, però, ha spiegato di non averla mai chiamata. ”I veti preventivi alle conferenze stampa sono a noi sconosciuti – ha detto il procuratore -. Per noi esistono solo gli interrogatori e in caso la secretazione dei verbali”. Gli accertamenti degli inquirenti milanesi su quanto raccontato dalla Macrì sono appena agli inizi. Non c’è, ha concluso Bruti Liberati, ”nessun fascicolo sul San Raffaele. Il fascicolo di Palermo è arrivato l’altro ieri e il pm lo sta esaminando”.

Il riferimento era ad articoli comparsi su alcuni quotidiani che riportavano alcuni passaggi degli interrogatori resi da Perla Genovesi ai magistrati palermitani. La donna ha parlato infatti di finanziamenti sospetti all’ospedale San Raffaele, quando il presidente della Commissione del Senato per i diritti umani era il senatore del Pdl, Enrico Pianetta.