ROMA – Gli indiani di fine anno sono andati all’attacco di una diligenza diversa dal solito: non la legge di Stabilità ma il “decreto Salva Roma“.
Un decreto che, come il nome suggerirebbe, doveva essere varato rapidamente per chiudere la voragine di 864 milioni di euro che si è aperta nei conti di Roma Capitale.
Ma dentro lobbisti e politici con forti interessi locali sono riusciti a infilare di tutto, come scrive Sergio Rizzo sul Corriere della Sera:
“Venti milioni per tappare i buchi del trasporto pubblico calabrese. Ventitré per i treni valdostani. Mezzo milione per il Comune di Pietrelcina, paese di Padre Pio. Uno per le scuole di Marsciano, in Umbria. Un altro per il restauro del palazzo municipale di Sciacca. Ancora mezzo per la torre anticorsara di Porto Palo. Un milione a Frosinone, tre a Pescara, 25 addirittura a Brindisi. Quindi norme per il Teatro San Carlo di Napoli e la Fenice di Venezia, una minisanatoria per i chioschi sulle spiagge, disposizioni sulle slot machine, sulle isole minori, sulla Croce Rossa, sul terremoto dell’Emilia-Romagna, sui beni sequestrati alla criminalità organizzata. E perfino l’istituzione di una sezione operativa della Direzione investigativa antimafia all’aeroporto di Milano Malpensa per prevenire le infiltrazioni mafiose nell’Expo 2015”.
Libero sintetizza in un linguaggio più ruvido: “Per salvare Roma paghiamo mille marchette”.
Quelle che il quotidiano di Maurizio Belpietro chiama “marchette”, Letta e Renzi li chiamano “errori”. Scrive Antonella Baccaro sul Corriere della Sera:
“la Camera ha votato la fiducia (con 340 sì e 155 no) al decreto «salva Roma». Il voto finale ci sarà venerdì. Il decreto, modificato dalla Camera, dovrà poi tornare al Senato. Intanto la Camera ha soppresso, come chiesto dal M5S e dal segretario del Pd, Matteo Renzi, la norma che avrebbe ridotto i trasferimenti ai Comuni impegnati nella limitazione delle sale per slot machine, definita «un errore» anche dal premier Enrico Letta. Sarà risolta solo dopo Natale, probabilmente con il decreto «milleproroghe», la questione degli «affitti d’oro» dei palazzi istituzionali che ha causato l’ostruzionismo di Lega e M5S. Nonostante la commissione Bilancio della Camera abbia infatti introdotto nuovamente, dopo essere stata cancellata dal Senato, la possibilità di recedere anticipatamente dai contratti di locazione stipulati con i privati, sarà con ogni probabilità il Consiglio dei ministri di venerdì a mettere la parola fine, arginando le conseguenze delle norme di salvaguardia per gli investimenti che hanno per oggetto immobili pubblici che sono rimaste nella legge di Stabilità, e che avrebbero secondo M5S e Lega, l’effetto di «salvare le locazioni della Camera» e dei palazzi delle Istituzioni.
Nel decreto, sottolinea Sergio Rizzo, sono stati infilati provvedimenti “diversamente prioritari”, come ad esempio la sostituzione delle lampadine dei semafori:
«Nelle lanterne semaforiche, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, le lampade ad incandescenza, quando necessitino di sostituzione, devono essere sostituite con lampade a basso consumo energetico, ivi comprese le lampade realizzate con tecnologia a Led».
Il linguaggio usato dagli “indiani” è quello dell’ostrogoto leguleio, che ha la chiara funzione di occultare agli occhi dei più i vari assalti alla diligenza:
Per non parlare di alcune perle, nel solco della tradizione di estrema trasparenza delle leggi made in Italy. Esempio: «All’articolo 1 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, il comma 4-bis è abrogato». Abrogato al pari del «terzo comma dell’articolo 2 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 10 aprile 1948, n. 421, ratificato, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 1957, n. 104». Chi ci capisce qualcosa? Alla faccia di quella norma approvata dal Parlamento quattro anni fa, che imporrebbe di scrivere le leggi in modo chiaro e comprensibile a tutti, senza costringere i cittadini a scavare nei codici e nelle Gazzette ufficiali di cinquant’anni prima per capire di che si tratta.
Divertente, se non fosse drammatico, l’episodio della finanziaria 2007:
costituita da un unico articolo di 1364 commi. La sera prima dell’approvazione si seppe che nella confusione generale una manina aveva inserito una norma per tagliare le unghie alla Corte dei conti. Il premier Romano Prodi andò su tutte le furie e impose di eliminarla. Gli esperti degli uffici legislativi la cercarono nel testo tutta la notte senza però riuscire a trovarla. La finanziaria fu così approvata con il comma incriminato (il numero 1346) che fu eliminato il giorno dopo, una volta finalmente rintracciato, con un altro decreto legge. L’autore del misterioso geroglifico era un senatore della maggioranza, Pietro Fuda: presidente della commissione parlamentare per la Semplificazione della legislazione.
Del resto non va meglio neanche alle Regioni:
Il bilancio della Regione Lazio che si discute in queste ore, per esempio. Sul testo della giunta si è riversata una massa di 5.300 emendamenti capaci di far dilatare il fascicolo d’aula a 8.172 pagine. Denuncia nel suo sito la consigliera regionale Teresa Petrangolini che i 653.760 fogli necessari a stampare le 80 copie di quel fascicolo saranno abbattuti 8,28 pini alti quindici metri.
Il caso da manuale resta quello della Milano 90 srl di Sergio Scarpellini, che affitta ai deputati gli uffici della Camera:
Nella «manovrina» approvata dal Senato il 13 dicembre spunta una norma grillina che dà allo Stato diritto di recesso con soli trenta giorni di preavviso dai contratti d’affitto stipulati con privati. Se un locale non serve più, la pubblica amministrazione lo può lasciare senza essere costretta a pagare l’affitto fino alla scadenza del contratto. Il minimo sindacale, insomma. L’obiettivo? I lucrosi contratti della Milano 90 srl di Sergio Scarpellini con la Camera per gli uffici dei deputati. Ma il 19 dicembre, sempre al Senato, ecco un emendamento del Pd, catapultato in un altro decreto, che la cancella. La cosa finisce sui giornali e scoppia un putiferio: il 21 dicembre la norma viene ripristinata alla Camera in un terzo decreto ancora, quel salva Roma di cui parlavamo. Senza però sapere che nel frattempo si era già provveduto, prima della guerra degli emendamenti, ad aprire un paracadute nella legge di Stabilità. In che modo? Escludendo dal diritto di recesso non solo i palazzi dei ricchi fondi immobiliari, ma anche quelli di proprietà di chi ha investito negli stessi fondi. Si mormora che l’inciso possa rappresentare un assist a Scarpellini.