ROMA – Matteo Salvini si candida a presidente del Consiglio. Chiariamoci, non è ancora chiaro se e come questo governo cadrà e se si andrà a elezioni anticipate (ipotesi al momento più probabile) e il leader della Lega lo dice a chiare lettere dal palco di Pescara: “Chiedo agli italiani se vogliono darmi pieni poteri per fare le cose come vanno fatte. Se mi candido premier? Quello sicuro”.
Salvini premier, l’idea che già filtrava da tempo negli ambienti politici ora è un’investitura ufficiale. Nonostante il diretto interessato si sia sempre affannato a dire di essere più interessato “a fare le cose” piuttosto che a rivendicare poltrone dopo l’exploit della Lega alle Europee e negli ultimi sondaggi. Salvini premier senza Movimento 5 Stelle, si intende. Alleati troppo a lungo (mal) sopportati e dei quali ora non avrebbe più bisogno per avere i numeri in Parlamento. Almeno, se un eventuale voto dovesse confermare quello che i sondaggisti dicono da mesi.
Intanto è braccio di ferro tra il presidente del Consiglio (quello attuale) Giuseppe Conte e il vicepremier (sempre allo stato attuale delle cose) Salvini. Con un arbitro, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che si prenderà il suo ruolo di arbitro quando la crisi sarà ufficializzata.
Il leader della Lega, dopo la salita al Colle di Conte, intuisce la strategia del capo del governo che avrebbe avuto come obiettivo quello di dettare i tempi del dibattito parlamentare e quindi anche dei tempi che avrebbero potuto portare alla crisi. Quindi lo anticipa, incontrandolo a Palazzo Chigi e scandendo per primo, la richiesta, di parlamentarizzare la crisi, ma subito, nelle prossime ore.
L’incontro tra Conte e Salvini dura poco più di un’ora. E’ un faccia a faccia duro, teso, che arriva dopo ore in cui il premier, con i suoi, non ha mancato di manifestare la sua profonda irritazione per il blitz del leader della Lega. “Se vuole la crisi gliela faremo sudare e dovrà uscire allo scoperto”, è il messaggio che, all’ora di pranzo trapela da alcune fonti governative descrivendo l’ira di Conte.
Ed è messaggio di guerra contro il leader leghista, che arriva dopo il faccia a faccia tra il premier e il capo dello Stato, dove il capo del governo manifesta a Mattarella la volontà di voler essere sfiduciato in Aula, di lasciare alla Lega la piena responsabilità della rottura. Come, in fondo, lo stesso Conte aveva detto in occasione dell’informativa al Senato sull’inchiesta dei fondi russi, quando il premier promise, di fatto, di tornare nella stessa Aula che gli aveva dato la fiducia, se la stessa fiducia fosse mancata.
Archiviata la possibilità – accarezzata da Salvini – di dimissioni extraparlamentari del premier, è ora il timing della parlamentarizzazione della crisi ad essere oggetto di un vero e proprio duello politico. E in molti, in ambienti politici, temono o auspicano una convocazione a rallentatore delle Camere.
La convocazione delle capigruppo per calendarizzare le sedute sono ancora una incognita. E qualche dubbio sulla volontà dei presidenti di Camera e Senato di tenere ritmi bassi sta attraversando molti partiti. Una strategia che vedrebbe il silenzioso consenso del M5S. Intanto, Luigi Di Maio rilancia la sfida di Salvini al voto chiedendo, prima della crisi, che il Parlamento approvi il taglio dei parlamentari. Che vorrebbe dire dilazionare di mesi le urne.
Ma Salvini vuole tutto, il più presto possibile. Ha in mente di andare al voto entro il 20 ottobre – occorrono almeno 60 giorni dallo scioglimento delle Camere; prima, di fatto, non si può – e avrebbe avuto rassicurazioni dagli altri partiti, incluso il Pd, che non si saranno alleanze con il M5S per un nuovo governo. Così, una volta sfiduciato dal Parlamento, Conte si recherà al Quirinale per dimettersi e partirà un giro di consultazioni che si prevede rapidissimo, di 24-36 ore. Una volta preso atto della mancanza di una maggioranza alternativa, Mattarella dovrebbe sciogliere le Camere.
E nessuno si sbilancia al momento sulla possibilità da parte del Colle di ragionare anche su un governo tecnico o di transizione per evitare l’esercizio provvisorio e portare il Paese alle urne a marzo o aprile. La strada per il voto, per Salvini, sarebbe quindi tracciata. Ma non è detto che sia priva di ostacoli: e, già in questi giorni, il titolare del Viminale potrebbe trovarsi a fare i conti con un Parlamento con i battenti chiusi per almeno un’altra decina di giorni. (Fonte Ansa).