ROMA – Salvini safari. Dicesi safari visita organizzata con vista su animale esotico e, nell’immaginario del turista, pericoloso. Di solito uno dei cosiddetti big five della savana africana: elefante, rinoceronte, bufalo, leone, ippopotamo. Il safari per il turista in Africa è ovviamente preparato, organizzatissimo, sterilizzato da ogni pericolo. Ma al turista va data almeno la sensazione scenica del quasi brivido, quindi nel safari si recita tutti (guida, agenzia di viaggio, turista) come fosse una caccia. Finta caccia, lo sanno tutti. Ma così il safari riesce a far sentire esploratori e cacciatori pingui commendatori brianzoli, impiegati ministeriali di Roma, avvocati di Bari…Insomma il safari piace, eccome se piace. Anche o forse proprio perché è finto e sterilizzato.
Con queste caratteristiche, finto e sterilizzato, Matteo Salvini si è regalato un safari. Senza neanche andare in Africa. Un safari in terra italiana. Un safari al pusher, allo spacciatore. Sì, perché anche in Italia ci sono i big five della fauna pericolosa, cinque gli animali pericolosi: l’immigrato, il musulmano, il pusher, la zecca comunista, il ladro in casa. Così insegna Salvini, così pensano e votano molti italiani e quindi Salvini è partito per il safari al pusher.
A far da guida nella savana urbana emiliana una cittadina, come da definizione salviniana. Secondo le cronache non proprio una cittadina qualsiasi ma una signora che ha vissuto lacerante dramma familiare connesso alla droga, una malattia terminale cui si è posto fine con una overdose. Non proprio dunque una testimone fredda del territorio. Come che sia, la cittadina sa dove è la tana del pusher.
Ed ecco quindi la carovana del safari, land rover, pulmini, bus di comitiva dirigersi verso la tana. Accompagnano Salvini in safari dieci, venti telecamere? Proprio come nei safari nel Serengeti hanno tutti lo smartphone in mano, guatano la tana della preda attraverso lo smartphone, telefonano ai parenti (in questo caso giornali e tv) per condividere l’emozione. Land rover, pulmini, bus: giornalisti, fotografi, fan di Salvini e poliziotti. Il safari è organizzato, è caccia finta ma, hai visto mai un fastidioso babbuino? Succede nei safari veri spunti un babbuino a rubarti il panino mentre sei intento a fotografare dal pulmino scoperto.
La carovana raggiunge la tana, l’esploratore/cacciatore si fa avanti, precede tutti di un passo. E compie il gesto, va a stanare. Sì, insomma, non proprio ma è formalmente uguale: non è che Salvini va a stanare il pusher, Salvini suona un citofono. Anzi, Salvini suona il citofono. Gli hanno detto e comunque il copione del safari vuole che quello sia il citofono dello spacciatore, anzi della famiglia intera di pusher (padre e figlio preciserà lo stesso Salvini).
Dopo aver suonato il citofono Salvini cacciatore esploratore di pusher si sente e si mostra come il turista in safari che ha visto da vicino il leone che dorme. Guarda, guarda…il leone! E a questo punto il safari prende piega comica, ci vorrebbe il Totò e Peppino di “noi per andare dove dobbiamo andare dove dobbiamo andare?” per interpretarla. Salvini domanda al citofono: “Ci dicono che da qui parta lo spaccio di droga, è vero, conferma?”. Gentilissima e forse resa gentile dalla coda di paglia la voce che risponde al citofono non manda Salvini dove ciascuno di noi manderebbe chiunque ci citofonasse domandando: “Ci dicono lei sia un delinquente, conferma?”.
Salvini in safari però una conferma la trova di aver avvistato la tana di uno dei big five animali pericolosi, si fa dire dagli accompagnatori e proclama per le tv: “E’ tunisino”. Il safari volge al termine, foto e video della tana e del cacciatore sono abbondanti, la spedizione nella savana a dar la caccia finta ad un pusher forse vero forse finto è finita. A tratti Salvini è apparso come uno che sfida la fiera fieramente al riparo da sbarre e gabbia dove la fiera sta immobile. Ma non è questo che verrà raccontato del safari, nessuno racconta del proprio safari in Africa che l’hotel gli ha preparato i panini al sacco, tutti narrano dell’emozione del ruggito, soprattutto se non l’hanno sentito.
Comunque, come avrebbe detto il protagonista di Frankenstein Junior, si può fare. Anzi, si può fare! Si può scegliersi un indirizzo e un citofono. Andare all’indirizzo e al citofono con gli amici. Suonare e retoricamente domandare: lei spaccia? Oppure lei ruba? Oppure lei stupra? E si può indicare, segnare l’indirizzo e il citofono e l’animale strano che c’è dentro quella tana come abusivo, irregolare, spacciatore, tunisino (tutte cose che Salvini ha detto). Si può fare, si può mettere la lettera scarlatta davanti ad una tana di umano, si può fare soprattutto se sei stato ex ministro degli Interni. Non rischi nulla, nessuno ti chiede conto di nulla e ti fai pure una bella foto con il tallone sulla preda, anche se la preda è solo un citofono la gente capisce e apprezza.