ROMA – Il milanese Renato Botti, indicato dal ministro della Salute Pdl Beatrice Lorenzin, assumerà l’incarico di subcommissario alla Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti, Pd. Suonerebbe strana la nomina, se ignorassimo gli effetti che il clima delle larghe intese va dispiegando sulla gestione della cosa pubblica, dal governo nazionale a quello locale: alle viste si profila uno scambio dove la destra (lungo la linea Botti-Lorenzin-Formigoni) impone un suo uomo in Regione in cambio del via libera dal Governo al dirottamento di risorse dalla sanità (regionali) al Comune di Roma.
Cioè i soldi dell’extra-gettito degli aumenti delle addizionali regionali Irpef e Irap girati al sindaco Ignazio Marino per tappare almeno una falla dell’enorme buco del bilancio capitolino. Tecnicamente un abbraccio destra-sinistra orientato all’impiego di fondi al di fuori delle finalità iniziali. Un accordo tacito di cui Carlo Picozza su Repubblica descrive i termini:
La notizia dell’orientamento della ministra Lorenzin e dell’assenso del suo collega Fabrizio Saccomanni (Economia e Finanze) si è scaricata sulla giunta come un fulmine a ciel sereno. Attoniti, il governatore Zingaretti e i suoi hanno provato appena a dettare una condizione: “Sia uno solo”. “Non c’è pregiudizio di sorta”, spiegano, “ma dalla Regione non abbiamo deciso niente”. Ma c’è chi pensa a un accordo tacito: Botti in cambio della possibilità di utilizzo del gettito dell’aumento di Irpef e Irap verso spese non sanitarie.
Ma chi è Renato Botti, il nuovo subcommissario? Botti ha cominciato a Milano con il formigoniano Angelo Daccò (e di cui ha poi rivelato il sistema di tangenti e favori), poi è diventato manager con Don Verzè: dal ‘97 al 2002, infatti, è stato direttore generale dell’assessorato alla Sanità lombarda, prima di ricoprire lo stesso incarico al San Raffaele. Il sito Dagospia, che per primo ha rivelato l’affaire (“Le mani dei milanesi sulla sanità laziale”), inquadra la nomina in ragione dei riposizionamenti seguiti alla guerra intestina nel Pdl che divide falchi e colombe.
Botti ha cominciato a Milano gestendo centri estetici in società con il mitico Angelo Daccò, quello che per la magistratura milanese era il grande elemosiniere della sanità privata lombarda. Quindi si è fatto le ossa come direttore generale della Sanità del Pirellone, all’inizio dell’era Formigoni. E infine si è illustrato come manager del San Raffaele di don Verzè, poi travolto dai debiti. La strategia della ministra-colomba, molto attenta anche ai rapporti con il Vaticano, prevede di mettere le mani sulla sanità laziale, nonostante gli elettori abbiano appena scelto in massa il “sinistro” Zingaretti. Ma gli osservatori più sapienti vedono nello sbarco di Botti il segnale di una possibile calata su Roma anche del gruppo Rotelli, che nel frattempo ha rilevato il San Raffaele. (Dagospia)