Scajola, tre volte sull’altare, tre volte nella polvere

Claudio Scajola

Quando i carabinieri chiesero con urgenza di riceverli, il sindaco di Imperia, eletto nelle fila della Dc ultratavianea dell’Estremo Ponente ligure, aveva 36 anni ed era al decollo di una carriera politica anche inimmaginabile per lui e per la sua già lanciata dinasty. Claudio Scajola sedeva da due anni sulla poltrona che era stata di suo fratello Alessandro, da poco non più deputato Dc nella lista ligure e che, prima ancora, era stata di suo padre Ferdinando, uno dei fondatori della Dc ligure e imperiese, tanto fedele di Alcide De Gasperi e di monsignor Tardini segretario di Giovanni XXIII, che a tenere tra le sue braccia di madrina battesimale il neonato Claudio era arrivata da Roma a Imperia-Oneglia la figlia del grande statista, Romana.

«Le manette non gliele mettiamo signor sindaco», gli disse in quella mattina della primavera 1983 il colonnello dell’Arma che era venuto ad eseguire quello che allora si chiamava ordine di cattura, emesso dalla Procura di Milano. Era imbarazzato quel colonnello ad arrestare Claudio Scajola, il sindaco potente e sicuro di Imperia, il giovane uomo politico lanciato verso un grande successo ed inciampato in una vicenda che gli sarebbe costata enormi sofferenze, ma che sarebbe sfociata otto mesi dopo in un clamoroso, totale proscioglimento, firmato dal giudice istruttore.

Era la prima caduta di Claudio Scajola, la prima volta ed anche giudiziariamente la più pesante, visto che gli costò una detenzione durissima nella famosa caserma milanese di via della Moscova e poi a San Vittore.

Fu il Casinò di Sanremo, il maledetto Casinò degli scandali e delle polemiche a far finire nei guai l’allora giovane sindaco, quello stesso Casinò che solo un mese fa, forse memore anche di quella vicenda, Scajola ha bollato ancora una volta di duri epiteti (“E’ solo una bisca da spazzare via!”).

Il rampantissimo giovane Scajola, il terzogenito della dinasty che stava politicamente conquistando la città più bianca della Liguria “rossa” anni Settanta-Ottanta era accusato di avere pesantemente interferito nella asta che il Comune di Sanremo stava lanciando per asssegnare l’appalto della ricca Casa da Gioco. In lizza c’erano l’industriale lombardo Borletti, quello reso famoso dallo slogan pubblicitario sui “punti perfetti” e Italo Merlo, un siciliano dalla figura un po’ inquietante. Come poteva il giovane Scajola, con la sua aspirazione di diventare (come poi sarebbe diventato) il king maker di tutte le grandi questioni imperiesi, non occuparsi politicamente del Casinò, croce e delizia della Riviera? Come poteva non dire la sua sulla decisione più delicata per il partito di governo locale? Come poteva non essere sulla palla del grande affaire che spartiva potere e soprattutto i proventi economici che a pioggia dalla casa da gioco scendono verso le casse di tutti i Comuni imperiesi, secondo la legge istitutiva del Casinò, la gallina delle uova d’oro?

Scajola era allora giovane, avveduto, conscio degli scandali che già avevano travolto la Casa da gioco, fino al punto che tre anni prima tutta la giunta comunale sanremese era stata spazzata via da una delle solite inchieste ricorrenti e il sindaco della città dei fiori, Osvaldo Vento, un assicuratore sanremese, manco a dirlo democristiano, era stato arrestato, il Comune commissariato e il Casinò decapitato.

Aveva apparentemente le spalle coperte dalla sua dinasty e da un potere già diffuso sul territorio, ma aveva commesso la leggerezza di andare di persona ad un incontro segreto in Svizzera per garantire al conte Borletti che l’appalto sarebbe stato “tranquillo”. I magistrati di Milano e gli investigatori videro in quell’incontro fugace a Martigny una pesante interferenza nell’appalto e spiccarono l’ordine di cattura.

Per il sindaco rampante di allora fu come una folgore: passare dalla poltrona e dalla carriera in ascesa direttamente alla cella di via della Moscova fu un colpo che sembrava avere minato la sua carriera. «Ho passato venti giorni in quella cella senza neppure sapere esattamente quali erano le accuse, rischiando di diventare pazzo», avrebbe poi raccontato Scajola, uscito dall’incubo della detenzione.

Era la sua prima caduta e avrebbe dimostrato quale era la sua resistenza. Prima di uscire in mezzo ai carabinieri dal palazzo del Comune imperiese aveva firmato le dimissioni da sindaco, facendo a se stesso una promessa segreta. “Io qua ci torno da sindaco!”

La prima caduta di Scajola fu traumatica e dura e provocò la sua scomparsa dalla scena politica imperiese e ligure: una specie di eclisse. Ma l’uomo era deciso e convinto che avrebbe dimostrato la sua estraneità all’affaire del Casinò, che avrebbe provato l’infondatezza delle imputazioni del Pm, l’ allora molto conosciuto Di Maggio.

Lo prosciolsero in istruttoria, ma per Scajola non era facile risalire la china politicamente, fugare i sospetti. In silenzio era tornato nel suo ufficio di impiegato dell’Inpdap, circondato solo dai pochi fedelissimi che avevano resistito alla tempesta.

Alla fine degli anni Ottanta, con un lavoro da certosino, Claudio Scajola era pronto a ritentare la scalata al Comune. Aveva battuto la città palmo a palmo, convinto ogni cittadino che l’incidente del Casinò era stato una trappola, un complotto come oggi sta cercando di dimostrare che è tale la vicenda degli ottanta assegni di Anemone e company per l’acquisto della casa romana in vista Colosseo. A Martigny non aveva preso una lira, a Roma non ha visto uno degli assegni per comprar casa alla figlia Lucia, giovane giornalista di Panorama, che, tra l’altro, lavora a Milano.

Nelle fila della sua Dc riconquistò il Comune e si mise a fare il sindaco dal 1990 al 1995, come se avesse smesso il giorno prima. Aveva avuto la sua vendetta, ma non bastava e soprattutto il mondo stava cambiando. A crollare era la Dc e nella tornata elettorale successiva il sindaco Scajola fu costretto a candidarsi per conto suo nel patatrac dei partiti tradizionali, finendo poi sconfitto nel ballottaggio contro un candidato targato centro-sinistra.

Ma in quella battaglia elettorale il leader imperiese aveva sconfitto il candidato del neonato Polo e si era messo in luce agli occhi del Cavalier Berlusconi che stava costruendo il suo partito, allora di plastica.

La storia della folgorazione tra Claudio Scajola e Berlusconi è nota, come è noto l’ingaggio da parte del fondatore di Forza Italia di quell’ambizioso e determinato ex democristiano di Imperia, già ingiusta vittima dei giudici milanesi, così capace di controllare il territorio e così abile nella organizzazione di un partito.

Diventando deputato di Forza Italia per Imperia nelle elezioni del 1996, Scajola incomincia a tracciare il suo secondo percorso di “salita all’altare”, dopo quella democristiana di inizio anni Ottanta. Diventa onorevole a Roma, un obiettivo che con la Dc gli sarebbe sempre stato precluso, poi diventa coordinatore nazionale di FI, l’uomo a cui Berlusconi delega il compito di trasformare il partito di plastica in partito vero e, soprattutto, vince clamorosamente le elezioni regionali del 2000, quelle famose delle bandierine piantate da Emilio Fede sulla cartina geografica dell’Italia, che si colora di azzurro, perfino nella sempiterna regione rossa della Liguria dove il politicamente carneade Sandro Biasotti, conquista Genova, all’ombra del trionfante Claudio Scajola.

Eccolo, quindi, l’ex sindaco di Imperia, nell’empireo berlusconiano, pronto a incassare il premio, diventando ministro dell’Interno, quando la Destra di Forza Italia e An e Lega, conquista l’Italia per la seconda volta.

Il ministero dell’Interno e il Viminale sono l’apogeo di Scajola che si va a sedere nel giugno del 2001 dove aveva dominato tra gli anni Sessanta e Settanta il suo maestro, Paolo Emilio Taviani. Ma Scajola, questo imperiese un po’ atipico, efficiente e ambizioso, democristiano fino all’osso, che fino a pochi anni prima obbligava tutti quelli che pranzavano con lui a farsi il segno della croce, benedicendo il cibo che stavano per mangiare, ha già tanti nemici. Non sono con lui i “professori” che le sirene di Berlusconi hanno incantato nella prima ora, i Marcello Pera, i Gianni Vattimo, anche gli ed Dc di lungo corso e grandi carriere, come Pisanu. E Scajola è intraprendente, da coordinatore e nei primi mesi da ministro, oltre a rinsaldare e allargare il suo impero imperiese, una specie di feudo, ha conquistato un bel seguito nei gruppi parlamentari di Forza Italia.

C’è da superare la tragedia del G8 genovese, che Scajola ha preparato con un mese di tempo e dalle cui vicende sguscia con qualche incertezza. Ma soprattutto ci sono le spire della politica romana e nel luglio del 2002 l’incidente che segnerà la sua seconda caduta: la frase che lega il suo destino a quello del giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle Br in un agguato a Bologna, dopo che il Ministero dell’Interno gli aveva tolto la scorta.

Scajola in una trasferta di governo a Cipro si lascia scappare una battuta infelice, definendo la vittima Br “un rompicoglioni” per le insistenze con cui chiedeva protezione e consulenze. È una frase pesantissima che il ministro trova sui giornali e che sosterrà anche di avere riferito, attribuendola ad altri, in un contesto non ufficiale. Non ci sono scuse, né possibilità di rimediare. In quarantotto ore uno dei ministri più importanti del governo Berlusconi bis è costretto a dimettersi in una tempesta di polemiche.

Sembra una pietra tombale su una carriera complicata ma folgorante nella Seconda Repubblica, sembra la caduta di uno dei delfini del Cavaliere. Lui si ritira nel suo eremo di Imperia, sulla dolce collina di Diano Calderina.

Prepara silenzioso, ma forse meno solo che dopo la prima caduta, una risalita sull’altare che sembra impossibile. Ma Berlusconi non si è dimenticato e tiene Scajola di riserva, deputato e poi, dopo una pausa, ministro per l’Attuazione del Programma, un dicastero con un titolo da parata, ma sufficiente a sedere a palazzo Chigi nei consigli dei Ministri e, soprattutto, a curare, con la stessa persistenza, le relazioni politiche a Roma e il proprio feudo a Imperia,

La risalita dopo la seconda caduta è più lenta, accompagna le tortuose politiche della Seconda Repubblica, ma alla fine fa approdare Claudio Scajola a un altro ministero importante, quello delle Attività produttive, prima della sconfitta berlusconiana del 2006.

Un assaggio di un nuovo potere che è molto più diffuso e conta molto sul territorio e in termini di relazioni politiche ed economiche. Quando Prodi sconfigge Berlusconi e risale a Palazzo Chigi, Scajola ha già recuperato tanto che gli viene affidato dal governo”nemico” uno di quegli incarichi che competono all’opposizione, la presidenza del Copaco, la gestione e il coordinamento dei Servizi di Sicurezza. Insomma Scajola è di nuovo pienamente in sella. Anche per l’opposizione.

Imperia, Sanremo, Savona, una larga fetta della Liguria, con l’eccezione della roccaforte genovese, sono pienamente nelle sue mani e a Roma il suo potere si è ancora consolidato. Ha deputati e senatori fedeli ed ha un passato molto centrista.

Alla vittoria del 2008 Scajola ottiene di nuovo il ministero delle Attività Produttive, diventato Sviluppo Economico, con nuove propaggini di competenze, come quelle sulla comunicazione e lancia il grande progetto del ritorno al Nucleare.

1. Questo sembra un apogeo ancora più splendente di quando conquistò il Ministero dell’Interno per i conti e le relazioni che incentiva con i vertici delle grandi aziende pubbliche e private, dalla Fiat di Marchionne e Montezemolo alle prese con crisi, rilancio, recessione e incentivi, alla Finmeccanica.

2. La vela di Scajola sembra passare indenne anche nelle tempeste della Pdl neonata. È uno dei fedelissimi del Cavaliere, ma sta un po’ come alla larga delle strette polemiche politiche, lui, innegabilmente uomo di centro. Ultimamente sta anche un po’ alla larga dalle elezioni regionali, che in Liguria sono per lui una piccola delusione: è l’unica regione del Nord che resta al centro sinistra. Il suo candidato, appoggiato ma mai molto amato, Sandro Biasotti, è sconfitto da Claudio Burlando, ex ministro, ex sindaco, accomunato allo Scajola da qualche destino comune, oltre al nome di battesimo, anche lui un arresto da sindaco con proscioglimento, anche lui il potere a Roma prima del ritorno al potere locale.

3. In Liguria si parla di un patto trasversale tra i due Claudi, anche se le ultime vicende elettorali li hanno separati, dopo il feeeleng culminato perfino nella sintonia nella scelta dei nomi da indicare per la potente Fondazione Carige, la cassaforte del potere ligure, rimasta autonoma, socia di maggioranza della Banca Carige. che è diventata la sesta in Italia che ha oramai settecento sportelli in Italia e il cui vice presidente è Alessandro Scajola, il fratello maggiore di Claudio.

4. Un altro Scajola, Marco, di terza generazione, vice sindaco di Imperia, diventa il recordman delle elezioni regionali, conquistando undicimila voti e marchiando il potere della dinasty nel feudo di Imperia, dove nessuna foglia si sposta senza che il ministro voglia. Anche se negli ultimi mesi il suo distacco dalle vicende locali sembra un po’ rivelarsi, quasi che ci fosse un presagio di tempesta.

5. In attesa dell’atto finale e di quelle che potrebbero essere le seconde dimissioni – un record assoluto – dopo lo scandalo della casa con vista Colosseo, Imperia sembra voltare le spalle alla storia di quegli ottanta assegni che travolgono Claudio Scajola.

6. Non può o non vuole credere che perderà i vantaggi di avere un uomo così potente che ogni settimana arriva a sirene spiegate sull’autostrada da Genova o da Albenga dove il suo aereo atterra in un piccolo aeroporto, per i suoi nemici, reso funzionante soprattutto per i decolli e gli atterraggi del ministro. Più in generale la Liguria osserva la possibile terza caduta del suo unico uomo di Governo e la destra perde il proprio unico alfiere. E pensa: non c’è due senza tre.

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