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Berlinguer, De Mauro: hanno “lobotomizzato” la scuola e non sono pentiti

di Mino Fuccillo |17 Maggio 2011 16:08

ROMA-Hanno “lobotomizzato” la scuola e pure l’Università e non si sono neanche pentiti. Erano gli anni Settanta e Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro ragionavan di scuola, fondavano e diffondevano una nuova pedagogia i cui cardini erano il no all’astratto sapere e il “diritto al successo formativo”. In soldoni, niente studio della letteratura classica e tutti promossi. Di solito si tende a dare al mitizzato e mal ricordato “Sessantotto” la responsabilità di una scuola intesa come palestra sociale delle “esperienze” e non più, mai più luogo di apprendimento e trasmissione del sapere. Il Sessantotto, per quel che sapeva e poteva, aveva sollevato altra questione: quella del diritto all’accesso all’istruzione, diritto a che tutti potessero avere l’opportunità di studiare, anche se poveri economicamente e culturalmente. Diritto all’accesso, non al successo. Il Sessantotto extra parlamentare, ne fosse o no consapevole, era più vicino al dettato costituzionale, dove si legge del diritto allo studio dei “meritevoli e capaci” e dove mai c’è scritto che tutti hanno per diritto naturale(?) la qualifica di “meritevole e capace”. Fu il decennio successivo ad elaborare e a gettare le fondamenta della insana alleanza tra corporazioni della scuola, famiglie, genitori, studenti, cattolico lassismo, popolare pigrizia culturale e malinteso egualitarismo dei “cattedratici” della sinistra. Ma era ancora semina, si seminava gramigna negli anni settanta, il cattivo raccolto doveva venire dopo.

E verrà quando Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro saranno ministri di una sinistra arrivata al governo. Sinistra che, anche e soprattutto nella scuola, avrebbe dovuto coniugare libertà e democrazia, estendere diritti e rifondare doveri. Non lo fece, anzi decise che la scuola doveva abbassare ovunque l’asticella delle prestazioni richieste: dietro la cattedra, sui banchi, nei libri, nel metodo e nel merito. La pedagogia del “todos caballeros” divenne programma, niente meno che programma di emancipazione. Quindi niente più studio della letteratura, niente più temi in classe. Al loro posto “tesine” e mai e poi mai, comunque mai più gli strumenti culturali che forgiano una classe, un ceto dirigente. Il problema era che quel ceto dirigente non fosse espresso solo dal censo, De Mauto e Berlinguer risolsero il problema abolendo di fatto il ceto dirigente o almeno il luogo della sua formazione. “Diritto al successo formativo” fu la pazzesca formula: la scuola doveva garantire a tutti il successo. Come stabilire per legge e per prassi il diritto alla guarigione quando si va dal medico o il diritto alla causa vinta quando si va dall’avvocato. Quindi basta con l’insegnante che insegna ed evviva l’insegnante che accompagna. Basta con il “riversare” sapere che è azione autoritaria ed evviva la “socializzazione” che è democrazia. Ne son venute fuori legioni di insegnanti che hanno smesso di studiare, quando non anche di leggere e legioni di studenti che studiare e leggere non l’hanno mai cominciato. Una scuola “lobotomizzata”, una scuola che non pensa.

Di errori ne son stati commessi tanti, molti in buonissima fede e la sinistra è esperta in materia. Ma i “lobotomizzatori” non sono pentiti. Polemizzando duramente con Paola Mastrocola, colpevole del “sacrilegio” di non voler difendere la scuola pubblica così come è oggi, colpevole del peccato galileiano di guardare nel cannocchiale e vedere che questa scuola è immobile mentre la cultura e il sapere da questa scuola sono stati espulsi, Tullio De Mauro usa uno strano argomento nel dibattito che si è svolto sulle colonne del Corriere della Sera. Ricorda l’imponente “dealfabetizzazione di ritorno”, cioè il fatto che il 38 per cento degli italiani, dopo essere andati a scuola siano da adulti incapaci di comprendere un testo scritto o di stenderne uno, per non parlare della verbalizzazione dei concetti. Trentotto per cento di incapaci più un altro 33 per cento di italiani che ce la fanno sì, ma a fatica e con disagio a leggere e scrivere. E cosa ne deduce Di Mauro? Che la scuola da cui provengono è buona, efficiente ed ovviamente democratica perché se due italiani su tre si “dealfabetizzano” vuol dire che prima erano stati “alfabetizzati”. Non viene a De Mauro il sospetto che una percentuale così mostruosamente imponente sia la prova gridata della inconsistenza, della fragilità, della pochezza di una “alfabetizzazione” che presto si squaglia nel suo contrario. Hanno “lobotomizzato” la scuola e non si sono neanche pentiti.

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