Scuola, ma che gli ha fatto a sindacati, prof, governatori? Li ha bocciati da piccoli?

di Lucio Fero
Pubblicato il 10 Gennaio 2022 - 11:02 OLTRE 6 MESI FA
Scuola, ma che gli ha fatto a sindacati, prof, governatori? Li ha bocciati da piccoli?

Scuola, ma che gli ha fatto a sindacati, prof, governatori? Li ha bocciati da piccoli? FOTO ANSA

Vien voglia di cercare una spiegazione psico qualcosa per motivare l’avversione che la quasi totalità dei sindacati della scuola, una robusta fetta dei prof e degli amministrativi e un bel po’ di cosiddetti governatori delle Regioni mostrano verso la scuola. Vien voglia di intravedere le tracce di una ferita subita e quindi i segni di una vendetta, sia pure inconscia, nel volerle chiudere le scuole. Vien voglia di banalizzare e insolentire domandando: ma perché ce l’hanno tanto con la scuola, li ha forse bocciati quando erano scolari? Ma non è così, è peggio.

Trattati come soldati alla campagna di Russia

La metafora è di una prof, di una signora che sta in cattedra. Amorevolmente raccolte da La Repubblica tutte le forme del lacrimare di presidi, prof e impiegati sulla suprema impossibilità di tenere le scuole aperte, non disdegnando appunto le metafore bellico-storiche. La riapertura delle scuole al 10 gennaio, oggi, presentata come Caporetto, Waterloo…Esagerazioni linguistiche concettuali indotte dal lavezzo delle frasi tanto fatte quanto roboanti, malvezzo che ormai non distingue più i lavoratori della cultura da comizianti politici e/o front runner di corporazioni.

Soldati alla campagna di Russia i prof mandati niente meno che a fare scuola? Se davvero fossero soldati e fosse una guerra vera e fossero mandati a combattere sul serio in una situazione di grave pericolo, cosa sarebbero i prof e i presidi che fanno appello a non andare? Se la metafora della pro fosse accettabile, come chiamare i prof che fuori si chiamano? Imboscati, disertori? La prof cade nel grottesco, si riempie la bocca di parole irreali. Proprio come De Luca governatore della Campania che sbrodola di “nostri bambini cavie”. Cavie perché fanno a scuola!

La bugia e la recidiva

Le scuole hanno chiuso tra il 22 e il 23 dicembre. Allora i contagi erano migliaia al giorno. Dopo venti giorni di scuole chiuse i contagi sono di molte decine di migliaia al giorno. Le scuole erano chiuse eppure i contagi sono decuplicati. Durante quei quasi venti giorni di scuole chiuse per vacanza tutta la popolazione, compresa quella scolare, ha moltiplicato i suoi contatti sociali: le occasioni delle vacanze, delle festività, la stessa vita quotidiana. Non c’è ragione né numero che indichi la scuola come moltiplicatore dei contagi. Eppure questa bugia continua ad aver gran successo, anzi è una bugia recidiva, recidiva anche nel suo successo.

Perché può essere avanzata con buon successo di pubblico e di critica la proposta, anzi la richiesta, anzi la pretesa di chiudere le scuole mentre tutto, proprio tutto, il resto delle attività resta aperto? Perché, tristissimo dirlo, l’interesse di categoria per tanti di coloro che nella scuola lavorano fa premio sull’interesse pubblico, in particolare degli scolari e studenti. In maniera simmetrica a quanto faceva e fa il ristoratore per restate aperto letteralmente ad ogni costo (talvolta anche a costo della salute altrui) c’è il prof o il preside o il sindacalista della scuola fa ad ogni costo (a costo del servizio sociale e della funzione della scuola) per restare chiuso. Perché, nell’interesse primario e immediato della categoria-corporazione c’è da evitare e respingere il più. il molto di più di fatica e responsabilità nel restare aperti. 

Faticare, rischiare…anche no

Scuole aperte da oggi vuol dire per presidi e prof faticare, molto, di più, spesso troppo. Vuol dire organizzare al limite dell’impossibile ma organizzare. Vuol dire decidere, prendersi responsabilità, affrontare le onde mosse delle voglie e ubbie dei genitori, Vuol dire sganciarsi del benaltrismo sindacal-corporativo. Vuol dire tutelare gli studenti più di se stessi. Vuol dire rischiare anche in termini di consenso. Vuol dire essere ceto dirigente. Ecco, tristissimo dirlo e constatarlo, una parte tutt’altro che piccola dei presidi, prof, sindacalisti e coltivatori politici di interessi organizzati sul territorio geo-corporativo a questi vuol dire d’istinto, cultura e natura risponde: anche no.