ROMA – Il Dl diffamazione è arrivato al Senato lo scorso 9 ottobre. Niente più carcere, ma il testo prevede multe fino a 60mila euro. Ai giornali sul web il giudice può chiedere la rimozione delle immagini e dei dati di chi si è sentito diffamato.
Un testo, il Dl diffamazione, che, tuttavia, è stato ampiamente modificato in Commissione Giustizia e che, come ha detto il senatore Maurizio Gasparri richia di essere il mostro di Loch Ness, “che compare, scompare e poi non se ne parla più”.
In effetti anche la scorsa legislatura, ha ricordato Gasparri, “trattammo a lungo questo tema senza giungere a conclusione”. E anche nella seduta di giovedì 9 ottobre la discussione è stata interrotta e rimandata a data da destinarsi.
Il comunicato sul sito del Senato:
In apertura di seduta, su richiesta della sen. Bellot (LN-Aut), l’Assemblea ha osservato un minuto di silenzio in ricordo della tragedia del Vajont.
L’Assemblea ha avviato l’esame del ddl n. 1119 e connessi, recante “modifiche alla legge 8 febbraio 1948 n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione, diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante”, già approvato dalla Camera dei deputati.
Nell’illustrare il contenuto del provvedimento la relatrice Filippin (PD) ha evidenziato che il reato di diffamazione rientra nella categoria dei diritti contro l’onore. Il provvedimento ha l’obiettivo di coniugare la tutela della libertà di informazione con il diritto del cittadino a non essere diffamato e a tal fine la carcerazione non appare compatibile con la libertà di informazione dei giornalisti.
L’articolo 1 modifica la legge sulla stampa in più punti. Estende l’ambito di applicazione della legge sia alle testate giornalistiche on-line sia a quelle radiotelevisive; modifica la disciplina della rettifica; ridefinisce il quadro delle sanzioni relative alla diffamazione a mezzo stampa per le quali viene eliminata la pena della reclusione. L’articolo 2 modifica l’articolo 57 del codice penale, prevedendo la responsabilità del direttore del quotidiano o di altro mezzo di diffusione, se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione. Viene inoltre modificato l’articolo 594 del codice penale, sull’ingiuria, eliminando la pena della reclusione e prevedendo la sanzione della multa fino ad un massimo di 5.000 euro. L’articolo 2-bis, introdotto dalla Commissione, reca ulteriori misure a tutela del soggetto diffamato. L’articolo 3 introduce una norma che consente al giudice di infliggere una ulteriore condanna al querelante nel caso di sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso mentre gli articoli 4 e 5 modificano rispettivamente gli articoli 427 e 200 del codice di procedura penale con l’estensione della disciplina del segreto professionale anche ai giornalisti pubblicisti iscritti al rispettivo albo.
Nella discussione generale hanno preso la parola i sen. Casson, Donatella Albano, Lo Giudice, Monica Cirinnà, Rosaria Capacchione (PD); Cappelletti, Serenella Fucksia (M5S); Susta (SC); Buemi (Aut-PSI); Erika Stefani (LN-Aut); D’Ascola, Giovanardi, Albertini (NCD); Malan, Gasparri, Caliendo, Falanga (FI-PdL) e Barani (GAL).
Il resoconto stenografico (PDF) della seduta del 9 ottobre.290