Sergio Cofferati: Art.18 polemica surreale l’ha ucciso Fornero. Renzi va aiutato

 

Sergio Cofferati: Art.18 polemica surreale l'ha ucciso Fornero. Renzi va aiutato
Sergio Cofferati. L’art. 18 non c’è più l’ha ucciso la Fornero

ROMA – Sergio Cofferati, ieri grande leader della Cgil che fece tremare Berlusconi e ibernò l’articolo 18, oggi parlamentare europeo per il Pd, parla, 12 anni dopo, della nuova polemica sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, del Governo Renzi e di Matteo Renzi, rievoca anche i motivi della scelta di non candidarsi alla segreteria del partito, allora Ds, e la ostilità che gli veniva da entrambi i leader che si contendevano quella carica, Massimo D’Alema e Walter Veltroni.

Raccolte da Barbara Romano per il quotidiano Libero, le parole di Sergio Cofferati sono scandite e sobrie, quasi militari.

Come sono i suoi rapporti con Matteo Renzi? chiede Barbara Romano. Sergio Cofferati gelido:

“Buoni”.

Ogni quanto vi sentite?

“Mai. Il lavoro dell’europarlamentare è scisso dal partito nazionale. Spero che presto non sia più così”.

Si riconosce nel Pd di Renzi?

“Al congresso ho votato per Gianni Cuperlo. La sua idea di partito mi convinceva più di quella di Renzi. Ma per me vale un principio: il congresso finisce con un segretario che è di tutti. Questo non impedisce agli altri di far valere le proprie opinioni, ma in politica è buona regola lavorare assieme per l’interesse comune”.

Quale è il giudizio che Sergio Cofferati dà di Matteo Renzi come primo ministro?

“Penso che stia facendo un lavoro molto difficile e vada aiutato”.

Anche se vuole abolire l’articolo 18?

“Non è Renzi che l’ha messo in discussione, ma Alfano. […E poi] trovo la discussione surreale perché purtroppo l’articolo 18 non c’è più. È stato cancellato dalla legge Fornero, che introduce la possibilità di licenziare per ragioni economiche”.

Il governo Renzi vuole andare oltre.

“Se intende davvero svuotare ulteriormente l’articolo 18 farà azioni senza efficacia che non saranno apprezzate neanche dagli imprenditori. Aumentare la flessibilità in entrata e in uscita ha solo fatto crescere la disoccupazione giovanile”.

Come giudica la riforma del lavoro avviata da Renzi?

“Il decreto Poletti non ha sortito effetti di nessun genere, la crescita della disoccupazione non è nemmeno rallentata”.

E il Jobs act nel suo complesso?

“Vedremo di che si tratta.Ad oggi abbiamo solo i titoli, mancano testi dettagliati. [A Renzi] chiedo un piano straordinario basato sugli investimenti pubblici, cioè una vera azione keynesiana che sia in grado di dare nuove opportunitàdi lavoro.Solo con gli investimenti e con l’aumento dei consumi si può creare, attraverso la crescita della domanda, occupazione.

“Proprio perché non avremo crescita e ci aspettano mesi difficili, in cui la disoccupazione e l’aumento della povertà penalizzeranno molti italiani, serve un piano straordinario per il lavoro. L’Europa metterà a disposizione molte risorse nei prossimi mesi, ma queste per essere utilizzate hanno bisogno di progetti. Il Governo italiano si deve attrezzare per sfruttare al meglio i fondi europei, che usiamo pochissimo perché siamo deficitari sul piano della progettazione”.

Con Renzi non è cambiato nulla?

“Finora non mi pare che questo Governo abbia utilizzato le risorse europee. Siamo rimasti all’ottimo lavoro fatto da Fabrizio Barca, che poi però non ha trovato una sua realizzazione concreta”.

Renzi non dà l’impressione di piacerle molto.

“È una persona molto simpatica e coraggiosa. [Ma] al segretario del Pd io chiedo di riorganizzare il partito rafforzandone radicamento e struttura. Il grandissimo valore del partito, dal Pci in avanti, è stato la fortissima presenza nei territori, tra le persone. Negli ultimi anni questa presenza si è attenuata”.

Barbara Romano fa notare che il 41% dei voti ottenuto dal Pd alle Europee non si spiega se non con la popolarità di Renzi. Replica Cofferati:

“Io non credo ai partiti leggeri, leaderistici. È molto importante il rapporto diretto con le persone”.

Lei fu quello che impedì a D’Alema di fare la riforma delle pensioni. Vi siete mai chiariti?

“È una leggenda metropolitana. La riforma delle pensioni si fece con Dini presidente del Consiglio nel ’94.Anche se il testo di riforma uscito dal Parlamento era molto meno rigoroso dell’accordo fatto da Dini con noi sindacati”.

D’Alema provò a fare una riforma più ambiziosa di quella di Dini. E lei lo stoppò.

“La riforma Dini prevedeva una verifica dopo un certo numero di anni. D’Alema voleva anticiparla e noi gli dicemmo di no”.

 

I rapporti con Massimo D’Alema sono un tema centrale della vicenda di Sergio Cofferati nel Pd e nelle sue precedenti mutazioni, specie quando lo stesso Cofferati era capo della Cgil e sembrava destinato alla carica di segretario del partito.

Barbara Romano ricorda quel 25 marzo 2002 al Circo Massimo, a Roma. Tre milioni di persone presero parte alla più grande manifestazione sindacale di tutti i tempi. Da allora, per un decennio, nessuno osò più parlare dell’articolo 18. Non si sentì leader in quel momento? chiede Barbara Romano. Risposta di Sergio Cofferati:

“Ero il segretario della Cgil, un grandissimo sindacato con una storia secolare. Nulla di più. Non ho mai sovrapposto le funzioni della rappresentanza sindacale a quelle politiche. Anzi, ho sempre considerato un valore importantissimo l’autonomia del sindacato dal partito”.

Poi concede e apre ai ricordi:

“Le sollecitazioni perché diventassi il leader del centrosinistra sono state molto forti nel 2002, dopo l’ultima sconfitta elettorale che portò al governo Berlusconi. Ma ero il leader della Cgil e decisi di non scendere in campo. Volevo portare a compimento il mio mandato sindacale, che finì nel 2003”.

Come mai a quel punto non si buttò in politica?

“Sapevo di avere ottime chance di diventare segretario dei Ds, ma decisi di prendere un’altra strada”.

I compagni le avevano sbarrato la strada della segreteria?

“Se mi fossi candidato alla segreteria, nel congresso sarebbe venuto fuori chi mi osteggiava. Ma visto che non mi sono candidato non si possono attribuire simili intenzioni a nessuno. Certo: nei Ds, come già nel Pds e nel Pci, la dialettica è sempre statamolto forte. Ed è noto che nel partito c’era chi contestava molte delle cose che avevo fatto in quegli anni”.

Tra lei e D’Alema volavano gli stracci, osserva Barbara Romano.

“Non solo con Massimo D’Alema, anche con Walter Veltroni. Ricordo un congresso dei Ds in cui Walter Veltroni nella sua relazione criticava la Cgil, io gli risposi e D’Alema,nel suo intervento conclusivo, mi criticò duramente. Ma il rapporto di amicizia con i capi del mio partito era vero e non è mai stato messo in discussione, neanche da quelle polemiche così aspre”.

Perché tutti i leader Ds ce l’avevano con lei?

“Perché mi consideravano un radicale spinto. È paradossale: la mia storia nel Pci si è sempre svolta nell’area riformista.Negli anni ’80 e ’90 mi collocavo nell’area migliorista di Giorgio Napolitano. Appartenevo alla destra comunista. Quando ero nel sindacato dei chimici e poi nella segreteria confederale della Cgil venivo spesso criticato”. 

Poi il mandato in Cgil finì:

“Quando ho finito di fare il segretario della Cgil sono tornato a lavorare alla Pirelli”.

Durò poco: l’anno dopo simise in corsa per fare il sindaco di Bologna.

“Me lo proposero i Ds dell’Emilia-Romagna e di Bologna. E io accettai. Ma non mi sono mai candidato a nessun ruolo nel partito”.

Quanto ha influito la sua vita personale nella scelta di non cercare un secondo mandato?

“Moltissimo. Non mi ricandidai a sindaco di Bologna perché quando nacque mio figlio preferii dare priorità alla famiglia cercando una soluzione che non penalizzasse il lavoro della mia compagna.Mi trasferii a Genova, nella città di quella che adesso è mia moglie. Non pensavo di fare il parlamentare europeo”.

Chi glielo propose?

“Il segretario di allora del Pd, Dario Franceschini, mi chiese di candidarmi alle Europee del 2009. Accettai perché è un incarico che mi consente di tornare a casa il fine settimana”.

 

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