La sfiducia a Caliendo e la crisi del governo: il voto anticipato non piace a nessuno

Giacomo Caliendo

La mozione di sfiducia messa in calendario per mercoledì alla Camera contro il sottosegretario Giacomo Caliendo si annuncia come una specie di stress test per la nuova situazione parlamentare. Nonostante l’auspicio del disarmo bilaterale rilanciato oggi da Italo Bocchino, che propone un patto di legislatura, finiani e berlusconiani vanno subito alla prova dei numeri. E, come nota Pierluigi Bersani, il risultato potrebbe essere quello di una maggioranza nei guai.

Dopo la scissione nel Pdl e la nascita di gruppi potenzialmente capaci (salvo verifica parlamentare) di mettere in minoranza il governo, si va ad un voto nel quale i finiani devono evitare le trappole sia di una semplice confluenza con le opposizioni (che darebbe modo a Berlusconi di accusarli di tradimento) sia di un semplice allineamento alla maggioranza (che potrebbe suonare come una ritrattazione della linea di rigore sulla questione morale). Per Berlusconi, il rischio di una sconfitta nel voto su Caliendo, non impossibile sul piano aritmetico, è compensato dalla possibilità di giocare la carta del ricatto delle elezioni anticipate. Elezioni che in questo momento non sembrano sostenibili né da Fini, il cui partito ancora non c’é sul piano organizzativo, né dal Pd, che punta ad un eventuale governo di transizione, e comunque a cambiare la legge elettorale prima di tornare alle urne.

Mentre per Berlusconi andare al voto presto (sempre ammesso che il Quirinale sia d’accordo) e con questa legge elettorale potrebbero avere la sua convenienza, avendo di fronte opposizioni ancora divise e incerte (e la presentazione del partito di Beppe Grillo, annunciata oggi, può essere un ulteriore fattore di dispersione dei voti). Tutto questo sembra dar forza ai falchi nel Pdl, che sulla questione Caliendo non vogliono lasciare spazi di manovra ai finiani; come dice l’ex colonnello Ignazio La Russa, se si vota la sfiducia ad un sottosegretario, chi sostiene il governo deve votare con la maggioranza. Quel che Fini non sembra potersi permettere è di andare ad elezioni anticipate lasciando che Berlusconi gli appiccichi l’etichetta del ribaltonista. E’ quindi naturale che nei nuovi gruppi si stiano studiando tutte le possibilità alternative e intermedie: oltre alla ricerca di una posizione comune con l’Udc, come annuncia il capogruppo reggente Giorgio Conte, le possibilità di cui si ragiona vanno dalla presentazione di un documento autonomo all’astensione o all’abbandono dell’aula, che permetterebbero di marcare le distanze dal governo senza fargli correre il rischio di una sconfitta.

Astenersi o non partecipare al voto potrebbe essere anche un modo per scoprire il sospetto bluff di Berlusconi sulla stabilità del governo: perché se la mozione contro Caliendo fosse respinta da una maggioranza inferiore a quella assoluta, ci sarebbe la certificazione del fatto che Fini, fatto fuori dal partito, resta determinante per la maggioranza. Finendo per avere un peso di condizionamento perfino superiore a quello che poteva avere stando dentro al Pdl. Questo a condizione che le sue truppe (fra le quali, come accade in questi casi, ci sono falchi e colombe, i più decisi e gli incerti) superino senza defezioni il test di resistenza su Caliendo.

In ogni caso, attacca Pierluigi Bersani, l’eventuale astensione dei finiani vorrebbe dire che la maggioranza si trova nei guai. E che quindi si starebbero creando le condizioni per lavorare a nuovi scenari, a cominciare da una riforma elettorale, attraverso un eventuale governo tecnico, o di transizione, o quale che sia la formula per descriverlo. Per questo, il Pd mostra un interesse al confronto ad ampio raggio, e manda segnali verso la Lega. Contando magari sul fatto che il partito di Bossi, pur andando forte nei sondaggi, non vuole tornare a votare senza aver portato ai propri elettori i primi risultati concreti sull’attuazione del federalismo. Ma anche su questa strada i problemi non mancano; la Lega, secondo il capogruppo al Senato, Federico Bricolo, non sarebbe interessata ad altri governi né a leggi elettorali, ma vuole fare le riforme con questo governo. E per un eventuale governo di transizione, resta da capire chi lo potrebbe guidare; per ora, da settori del Pd si alza un fuoco di sbarramento, cui partecipa oggi la presidente Rosy Bindi, contro l’ipotesi che a guidarlo possa essere Giulio Tremonti. Un dibattito che però, osserva dall’altra parte Fabrizio Cicchitto, equivale a vendere la pelle di un orso che non ha alcuna intenzione di arrendersi.

Intanto Berlusconi non riesce a farsi una ragione del passaggio di alcuni dal Pdl a Fli e, raccontano fonti di maggioranza, resta incredulo davanti all’irriconoscenza di chi ha seguito Fini, dopo essere andato a Palazzo Grazioli a chiedere incarichi anche importanti. Prove d’intesa, intanto, tra Fli e Udc: è il capogruppo reggente di ‘Futuro e Liberta”, Giorgio Conte, a far volutamente trapelare la notizia di un incontro, nel pomeriggio di domani, con il partito di Casini, alla ricerca di possibili convergenze.

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