Shirin Ebadi, Nobel per la pace, attacca l’Iran: “Mi hanno tolto tutto, anche il premio”

Pubblicato il 17 Novembre 2009 - 09:27 OLTRE 6 MESI FA

Alla vigilia della risoluzione contro le violazio­ni dei diritti umani in Iran che l’As­semblea generale Onu si appresta a votare in settimana, Shirin Ebadi, Nobel per la pace nel 2003, attacca il regime «che uccide i minorenni, perseguita donne e minoranze reli­giose e mette all’indice la libertà di parola».

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera Shirin Ebadi spiega: «Vivo in uno stato di esilio effet­tivo. Mi hanno confiscato l’appartamento, la pensione che ricevo dal ministe­ro della Giustizia e il conto in ban­ca mio e dei miei famigliari, ormai sotto costante minaccia. E come se non bastasse mi hanno sequestrato tut­ti i premi, incluso il Nobel e la Le­gion d’Onore».

Poi l’attivista racconta della sua paura a tornare in Iran: «Nulla mi spaventa di più, anche se minacciano di arrestarmi per eva­sione fiscale al mio rientro. Sosten­gono che debbo al governo 410 mi­la dollari in tasse arretrate per il No­bel: una fandonia visto che la legge fiscale iraniana stabilisce che i pre­mi siano esentasse. Se trattano così una persona ad alto profilo come me, mi chiedo come si comportano di nascosto con uno studente o cit­tadino qualunque. Comunque tornerò, forse accompagnata da Ban Ki-moon, quando avrò fini­to il mio lavoro all’estero e sarò più utile nel mio Paese. Sono stati i miei colleghi di Teheran a chieder­mi di restare: ‘Adesso ci sei più uti­le fuori’, hanno detto. Uno dei miei compiti è perorare la risoluzione Onu che i partner commerciali ira­niani vorrebbero bloccare in quan­to ‘politicizzata’. Un’accusa falsa come dimostra l’ultimo rapporto di Ban Ki-moon: un uomo che non si può certo accusare di parzialità».

Poi una serie di battute su quanto l’Onu e l’amministrazione Obama stiano realmente facendo per l’Iran: «La commissione Onu cerca di fare la sua parte ma la composizio­ne del consiglio è tale da legargli le mani. Vorrei spingerlo a fare di più perché, lo ripeto, la violazione dei diritti umani nel mio Paese è diven­tata sistematica e diffusissima. Se la Comunità internazionale tace, il popolo sarà dimenticato ed è pro­prio ciò che vuole il governo. Non ho ancora incontrato il pre­sidente Obama né i membri della sua amministrazione ma la mia po­sizione è ben chiara: nel dialogo con l’Iran non si può parlare solo di nucleare, ignorando la questione ben più pressante dei diritti umani. Le due sono interdipendenti».