C’è chi gli ha votato contro in consiglio di amministrazione: «Nomina inutile, qui ci sono cento funzionari che possono svolgere quel ruolo meglio di lui». Opposizione andata a vuoto, un po’ come spesso i niet di Garimberti, presidente-statuina della Rai sotto permanente attacco.
L’incarico di responsabile delle relazioni istituzionali e internazionali, posizione strategica ancorchè un po’ criptica, non gliel’ha vietata nessuno. Marco Simeon è entrato in pompa magna dentro alla Rai con il timbro di Mediobanca e di Cesare Geronzi in tasca, e con la benedizione di una bolla di ceralacca dai vividi colori vaticani con sopra scritto “Segreteria di Stato”.
E chi lo ferma più il trentaduenne Marco Simeon, figlio di un benzinaio di Sanremo, umili origini e folgorante carriera, all’ombra delle sottane vaticane e di piazzetta Cuccia, ma non solo?
È uno dei trentenni più rampanti di qua e di là del Tevere, anche se nessuno se lo è ancora filato bene, un po’ per la rapidità della sua ascesa e un po’ perché l’uomo, anzi il ragazzo, si è mosso con i modi felpati che si usano nelle sacre stanze, tra una genuflessione, una prece mormorata in latino e una dedizione assoluta a questo e a quell’altro monsignore ben piazzato nelle gerarchie.
Dicono addirittura che sia stato uno dei pochi ad avere libero accesso nell’appartamento papale, ai tempi di Giovanni Paolo II, considerata la sua confidenza con l’attuale arcivescovo di Cracovia, allora segretario polacco di Woytila, don Stanislao. E dicono anche che nessuno sia stato bravo, come Marco Simeon, a conquistare paralleli e significativi favori di qua e di là delle Mura Leonine: consulente di fiducia (e di portafoglio) di Cesare Geronzi a Capitalia e poi anche a Mediobanca e vicinissimo al Cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato Vaticano.
Simeon questo sconosciuto, diventato ora il cardine di una triangolazione Rai-Vaticano-Grande Finanza, sbuca dal nulla nella tentacolare, ma un po’ periferica città di Sanremo, tra fiori e canzonette. Anzi, sono proprio i fiori a lanciarlo. Lui è il figlio di un benzinaio, avviato a rilevare l’impianto del padre a due passi dal Casinò. Ma non ci sta. A scuola è bravo, un secchione, occhiali spessi e fisico non fortunatissimo e si mette in luce, soprattutto con il prof di religione.
Diventa l’anima della cooperativa sociale “Il Cammino”, un movimento cattolico con scopi di solidarietà e assistenza, che si trasforma presto in un centro di forte aggregazione socio-politico-amministrativa, che si trasforma, a sua volta, in un piccolo centro di potere sull’asse inedito Sanremo-Vaticano, all’ombra delle chiese e, soprattutto, di sacrestie, parrocchie e oratori.
Chi manda i fiori e le palme di Sanremo per le grandi cerimonie sul sagrato di san Pietro? Ma ovviamente l’associazione “Il cammino”, che piano piano si affermerà nella città dei fiori, nel cuore del potere postdemocristiano e guadagnerà una fama tra i monsignori vaticani, a colpi di bouquet, corbeilles e grandi guarnizioni floreali.
Dietro i fiori spunta sempre Simeon che intanto ha studiato e ristudiato prendendosi una laurea, guarda che coincidenza, in diritto canonico con una tesi, guarda un altro caso, sul ruolo del segretario di Stato in Vaticano. Chi sta per diventare segretario di Stato in Vaticano, quando il giovane presidente del “Cammino”assalta le sacre stanze a colpi di garofani, strelizie, orchidee, margherite, grandi corbeilles e ondeggianti rami di palme? L’arcivescovo di Genova dell’epoca, il potente salesiano Tarcisio Bertone, che nei confronti di Simeon è stato un vero talent scout.
Tocca a Bertone, successore a Genova del cardinal Dionigi Tettamanzi e predecessore dell’attuale arcivescovo Angelo Bagnasco, oggi presidente Cei, “scoprire” tra Sanremo e Roma, Marco Simeon, astro nascente di un cattolicesimo rampante ma molto tradizionalista. Quando il giovane sanremese è già introdotto nella capitale e in Vaticano, Bertone lo nomina Priore della Misericordia a Genova, mettendolo a capo di una confraternita molto religiosa, ma anche moto terrena. Al magistero della Misericordia fa capo un patrimonio immobiliare con qualche centinaio di appartamenti, che il priore, e in quel caso Simeon, deve amministrare.
A soli 29 anni il giovane presidente del “Cammino” si trova così a dividersi tra la città dei fiori, Roma dove le sue frequentazioni vaticane si stanno intensificando e dove la grande finanza già messo i suoi occhi sul trentenne, raccomandato da monsigliori e baciapile in grisaglia grigia.
Simeon è sveglio e ipercolto, parla come un libro stampato, cita e recita non solo le giaculatorie, ma anche gli andamenti di Borsa e si intende di titoli e di grandi aggregazioni finanziarie. Geronzi sembra apprezzarlo e comunque se lo mette ufficialmente al fianco come consulente.
Un miracolo a quell’età e con quella concorrenza? Anche un segnale preciso verso Oltretevere. Intanto a Genova Bertone gli fa fare un altro passo avanti e lo nomina consigliere di amministrazione dell’ospedale Duchessa di Galliera, il secondo della città, per statuto dei nobili fondatori amministrato dal cardinale pro tempore e dai migliori nomi della solida e austera borghesia genovese.
Nel cda c’è sempre stato un Costa, della nota famiglia di armatori, fratello, figlio o nipote o genero del mitico Angelo Costa, il leggendario presidente di Confindustria degli anni Cinquanta e Sessanta che parlava con l’accento di Gilberto Govi. Poi ci sono sempre stati illustri professionisti, nobili di grande tradizione come i discendenti Doria e i gran commis dell’imprenditoria cattolica.
Simeon entra in questo consesso in verdissima età, tra lo stupore di tutti e in particolare dell’ingessato establishment genovese e sotto l’ala protettrice e magnanima di Tarcisio Bertone. La sua sottile influenza incomincia a allargarsi anche a Genova dove già come magistrato della Misericordia il suo daffare è aumentato.
A Sanremo, dove la cooperativa “Il Cammino” è molto impegnata (oggi si occupa anche dei giardini della città dei Fiori, compito non indifferente vista la vastità e la qualità della rigogliosa vegetazione rivierasca), il prode Simeon incomincia a spaziare nella politica locale, seppure così limitrofa rispetto ai giochi del potere romano e oltreteverino. Spalleggia la giunta di centro destra che schiera il sindaco medico Bottini, anche perché uno dei suoi amici del cuore è il potente assessore al Turismo e allo Spettacolo Bissolotti e cerca approcci, anche questi molto felpati con il boss del Ponente, il ministro Claudio Scajola.
Quando uno dei rituali scandali sanremesi travolge Bottini e Bissolotti, Simeon soffre come se avesse subito un lutto famigliare e accoglie nella capitale l’assessore in disgrazia. Sanremo, il Ponente estremo sono sempre il suo rifugio sentimentale e politico. L’associazione culturale “Leonardo da Vinci”, da lui fondata per approfondire i temi culturali (chissà quale cultura all’ombra delle torrette bianche del casinò?) si allarga alla politica e si infittisce di illustri soci che prima sono i suoi compagnucci di scuola e di militanza cattolica e poi diventano quegli amministratori e quei politici che hanno annusato dietro il profumo di incenso del clericale Simeon anche le sue emergenti prossimità economiche e politiche romane.
Simeon a Roma vive lavorando come una macchina tra il Vaticano e Capitalia con un ritmo frenetico, tessendo una rete di relazioni sempre più fitta. Ma nella sua giornata non mancano mai la messa mattuttina, ascoltata spesso dentro alle Mura Leonine e qualche visita importante nelle sacre stanze. Monsignor Mauro Piacenza ex segretario di Giuseppe Siri, il cardinale principe di Genova, diventato vescovo a Roma, nominato prima ministro vaticano dei Beni Culturali e poi segretario della Congregazione del Culto, è uno dei suoi più contigui. Ma da tempo in Vaticano è arrivato il suo talent scout, il cardinale Tarcisio Bertone e a Simeon si spalancano le porte della grande politica, nei panni riservati, ovviamente, di chi può, molto segretamente sussurrare, nelle orecchie del potente cardinale.
Di lui dicono che lo strumento del suo potere in ascesa sia l’appartenenza all’Opus Dei. Ma l’interessato ha sempre smentito con molta decisione, proclamando di essere amico dell’Opera, ma in alcun modo affiliato.
La trama di Simeon da tempo stava tessendosi intorno alla Rai e ai suoi vertici in lunga agonia, fino alla caduta finale della gestione di Claudio Petruccioli. Nella politica della Chiesa, critica per lunghi tratti anche con il governo Berlusconi ancor ben prima del caso escort, il peso vaticano sulla televisione di Stato viene considerato un passaggio importante. Per ribadire nel centro di potere mediatico più potente, le radici culturali del paese, per difendere l’anima cattolica dallo scempio del relativismo e del modernismo mediatico.
Simeon è l’uomo giusto per tessere quella tela. È un passo indietro ma parla con tutti. Nessuno poteva prevedere che il suo obiettivo fosse quel ruolo istituzionale e internazionale. Per dedicarsi meglio alla nuova missione Simeon si dimette dalla magistratura della Misericordia, dove sforna un bilancio in largo attivo e lascia anche l’Ospedale Galliera.
Troppi incarichi, Genova può essere ora bypassata. Ma prima di decollare definitivamente il prode trentenne organizza ancora l’ultima edizione del Cardinal Dinner, una cena benefica pre natalizia, da lui inventata a Genova su uno stile molto americano, dove riunisce intorno all’arcivescovo di Genova i potenti di turno. Accorrono, ovviamente, il ministro Claudio Scajola, grandi imprenditori e opinion leader. Da Roma arriva anche il presidente della Rai, che fa buon viso a cattiva (o un po’ luciferina) sorte.
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