ROMA – Sindaci ribelli alla legge dello Stato. Legge che in questo caso si chiama decreto sicurezza. Sono i primi cittadini di Palermo, Parma, Napoli, Pescara… solo per citarne alcuni. Dicono i sindaci che l’impossibilità stabilita nel decreto di concedere asilo umanitario determina l’espulsione dai centri di accoglienza dei migranti che già ci sono, i quali diventano di fatto clandestini. Finiscono per strada creando problemi di ordine pubblico nelle rispettive città. Oltre ovviamente alla questione umanitaria.
I sindaci sono però dei ribelli di fronte a una legge di Stato e il ministro degli Interni Matteo Salvini dice che ne risponderanno davanti alla legge. In effetti la rivolta dei sindaci pone un problema non da poco: la legge ogni sindaco se la fa da solo? Sono sindaci di sinistra, i ribelli. E se i sindaci leghisti decidessero nei loro comuni di inasprire il trattamento dei migranti? Salvini cosa direbbe?
Tutto parte dall’atto di “disobbedienza” del sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che ha annunciato di aver “sospeso” l’applicazione del decreto Immigrazione nella sua città. Una vera e propria sfida al ministro dell’Interno. “È disumana e criminogena”, ha detto il sindaco palermitano dopo aver inviato una circolare all’ufficio Anagrafe per ottenere chiarimenti sui “profili giuridici anagrafici” derivanti dall’applicazione della norma. Per Salvini altro non è che “disobbedienza” alle “leggi sull’immigrazione approvate dal Parlamento”, dunque illegittima. Per la Bongiorno le “leggi, piacciano o meno, vanno applicate”. “Non c’è nessun atto di disobbedienza civile – spiega Orlando – ho agito da sindaco. È un atto di adempimento dei miei doveri istituzionali perché un’amministrazione che applica la legge che viola diritti umani è responsabile di quella violazione”.
E così ecco altri sindaci e politici “disobbedienti”. Nicola Zingaretti, governatore del Lazio e candidato alla guida del Pd, si è detto “vicino” a Orlando. Mimmo Lucano è “d’accordo” col primo cittadino di Palermo. E Luigi De Magistris a Repubblica ha rivendicato di aver già “schierato la mia città dalla parte dei diritti” sulla questione dell’iscrizione all’anagrafe.