ROMA – Non sarà estromesso d’imperio dal Governo, ma non sarà nemmeno un sottosegretario (Economia) operativo: per ora Armando Siri finisce nel limbo, praticamente in stand by: un po’ come nel basket, si profila per lui una inedita sospensione a tempo. Forse un’autosospensione concordata, in ogni caso un congelamento che se non fa chiarezza e non risolve il contenzioso Lega-M5S, ha il vantaggio di concedere al premier mediatore e ai duellanti più tempo.
All’alba di ieri, di ritorno da Pechino, il premier Conte faceva sapere che avrebbe “interrogato” a quattr’occhi il sottosegretario Armando Siri, solo qualche ora dopo però è il suo stesso ufficio a Palazzo Chigi a smentire, sarà lui a gestire il caso ma nei prossimi giorni, in data da stabilirsi. Anche perché martedì Conte, accompagnato da Di Maio e Salvini, sarà a Tunisi.
Siri per Salvini non si tocca, senza accuse più circostanziate resta dov’è, tanto meno il presidente del Consiglio si può travestire da giudice. Per i 5 Stelle il solo accostamento indiretto con la mafia è sufficiente a cacciarlo senza indugi e comunque deve spiegare tante cose, a cominciare dalla presunta mazzetta da 30mila euro.
Porta il nome del sottosegretario leghista il dossier più spinoso di politica interna che attende Conte al suo rientro in Italia. Lo deve vedere, ascoltare, deve decidere se chiedergli il passo indietro per l’inchiesta per corruzione che lo vede indagato.
Salvini, “Conte non fa il giudice”. Con il leader della Lega i nervi sono assai tesi. “Conte non fa il giudice: se mi presenta un atto concreto contro Siri sono pronto a discuterne, ad ora non ce ne sono”, dichiara il leader leghista in una dura intervista alla Stampa. Il premier ribatte puntuto che la decisione è tutta politica: “L’ho detto anche io che non sono un giudice. Non è certo con l’approccio del giudice che affronterò il problema Siri”.
In gioco, Conte è convinto, c’è la credibilità del governo di fronte ai cittadini: è pesante l’ombra di un’accusa di corruzione. Perciò nel M5s sono convinti che il presidente del Consiglio chiederà un passo indietro al sottosegretario, se non lo farà da solo per togliere le castagne dal fuoco a tutti.
Di Maio: “Non possiamo pensare che Siri resti”. Ma dalla Lega smentiscono voci di dimissioni spontanee di Siri. Circola – anche questa smentita – l’ipotesi di un’autosospensione cautelativa del sottosegretario. Ma Di Maio, che sul punto non può permettersi di cedere, incalza: “Ho fiducia nel premier. Non possiamo pensare che Siri resti”.
“L’autosospensione non esiste, poi se il tema è che Siri se, risulterà prosciolto da quest’inchiesta, vuole tornare io sarò il primo a volerlo. Ma la fattispecie di autosospensione non esiste, quindi evitiamo di prenderci in giro e non ho mai sentito Conte nominarla”, ha dichiarato Di Maio in conferenza stampa all’ambasciata italiana in Polonia. Armando Siri, se si dimetterà, “continuerà a fare il senatore, e lasciamo libero il suo posto” al governo.
Stretto nella tenaglia dello scontro preelettorale dei suoi due vice, Conte alla fine decide di prendere tempo. Magari attendere, prima di vederlo, che Siri venga ascoltato – forse a inizio settimana – in procura e abbia accesso agli atti dell’inchiesta. Nel frattempo il premier dà mandato di smentire di aver già deciso e chiesto a Siri di lasciare per non far saltare il governo. Ma il caso è una mina, per due alleati dai rapporti già logorati. Salvini nega che sia minacciata la tenuta del governo. L’irritazione leghista trapela però dalle parole di Giancarlo Giorgetti: “Le priorità sono altre”, dice il sottosegretario. (fonte Ansa)