Società pubbliche: 4.000. Danno servizi pubblici: 1.500. Vendere non è peccato

Vittorio Grilli (LaPresse)

Vendere, vendere, vendere. “Lo Stato ha un piccolo patrimonio di società e migliaia di altre società fanno parte del patrimonio delle municipalizzate. Potranno essere cedute”, ha detto il viceministro all’Economia, Vittorio Grilli. I conti di questo “piccolo patrimonio” li ha fatti l’Irpa, l’istituto di ricerca sulla Pubblica amministrazione fondato nel 2004 da Sabino Cassese: si tratta di quasi 4 mila società, delle quali solo il 30% offre davvero servizi pubblici ai cittadini e delle quali un terzo è con i bilanci in perdita.

Fatturano 43 miliardi di euro all’anno e investono 115 miliardi. Danno lavoro a 186 mila dipendenti, numero che se si considera anche le società partecipate sale a 300 mila. Fra presidenti, amministratori, consiglieri e direttori generali contano 16 mila manager, una media di 4,3 ad azienda. Nel 2009 annus horribilis per l’economia, mentre il Pil italiano calava del 5%, il “capitalismo” degli enti locali registrava un aumento di fatturato dell’1,7%.

L’economia delle municipalizzate è in controtendenza con il resto delle aziende italiane anche sotto il profilo dell’occupazione. Mentre in Italia c’erano sempre meno posti di lavoro, casi scuola come il Comune di Roma registravano 3.500 dipendenti in più dal 2008 al 2010. In due anni, a fine 2010, le maggiori aziende pubbliche facenti capo al Campidoglio, Atac, Ama e Acea contavano 2.637 nuovi assunti in più nonostante tutti i loro indicatori di bilancio fossero pessimi, in primis la situazione debitoria.

Di tutte le società municipalizzate, solo il 37,6% si occupa di servizi pubblici locali come rifiuti, acqua, trasporti, energia, gas. Il resto, il 62,4%, arriva a occuparsi di Casinò (succede al Comune di Venezia) o di campeggi (è il caso del Comune di Jesolo). In un settore che sarà difficile privatizzare o razionalizzare, data la mancanza di informazioni sulle sue reali dimensioni, trionfa la pratica dell’affidamento dei servizi in house, ovvero senza gara. Nel 32,9% di questi affidamenti in house c’era stato il parere negativo dell’Antitrust.

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