Accendere la luce sui soldi degli appalti pubblici, sapere dove e a chi vanno? Sì, ma con calma, magari un’altra volta. E’ la storia di un decreto governativo cui Palazzo Chigi sta lavorando in questi giorni. Dentro il decreto si sta scrivendo che quei soldi devono essere “tracciabili”, ma non subito, magari tra qualche mese, tra qualche anno. E’ già successo, nel 2009. Il Parlamento aveva votato la “tracciabilità” per i lavori dell’emergenza e della ricostruzione in Abruzzo. Per rendere effettiva la decisione ci voleva appunto un decreto della presidenza del Consiglio. Sono passati diciotto mesi e il decreto attuativo non è ancora arrivato, la tracciabilità è teoria e non pratica.
Tracciabilità, come quella di cui si avverte sulla porta delle banche e sulle postazione bancomat: le banconote sono segnate e quindi chi ruba avrà difficoltà a spendere senza essere rintracciato. Per gli ottanta miliardi annui di appalti pubblici si era deciso, in teoria, qualcosa di più complesso ma di altrettanto efficace: assegnare un codice a tutti i pagamenti e incassi relativi a lavori pubblici e obbligare a far viaggiare quei soldi con quel codice su conti correnti “dedicati”. Quel codice e quei conti, quelli e solo quelli, per pagare i lavoratori, eliminando così i mezzi salari da pagamenti in nero. Quei codici e conti e solo quelli per scoprire se le aziende pagano “pizzi” ambientali, pare sia il tre per cento sulla Salerno-Reggio Calabria, alla criminalità organizzata per lavorare tranquilli. Quei codici e conti e solo quelli per vedere dove finiscono gli aumenti dei costi e le lievitazioni dei preventivi. Quei conti e quei codici per seguire il pubblico denaro la cui traccia si perde tra banche e società finanziarie. Quei codici e conti per combattere se c’è evasione fiscale sotto forma di false fatturazioni.
Ma è rimasta teoria, anzi peggio: è quella della tracciabilità una regola scritta ma a futura memoria. C’è e non vale. A Palazzo Chigi stanno scrivendo un decreto…