Storie d’Italia: scoperta la Guantanamo sabauda per i “terroni”

Le scellerate abitudini non si perdono mai, si protraggono nelle generazioni e nella storia. Così, quelle atrocità che sembravano così moderne si rivelano a volte vecchie come il mondo. E Guantanamo, la prigione che tanto ha colpito le coscienze europee, si scopre un inaspettato avo nell’Italia monarchica e sabauda. A dirlo sono le ricerche del giornale “La Gazzetta del Mezzogiorno” che ha reso noto le sue investigazioni nei documenti diplomatici conservati nell’archivio storico della Farnesina.

Avvenne così: siamo nel 1868 e il presidente del consiglio, Luigi Federico Menabrea deve affrontare il problema del brigantaggio nell’Italia meridionale. Nulla sembrava riuscire a risolvere questa piaga endemica, nemmeno la pena di morte, che in quegli anni manda al patibolo a ritmi sfrenati.

Così il governo italiano decise di cambiare strategia, ispirandosi, forse ad un’antica politica della Gran Bretagna: deportare i briganti dall’altra parte del pianeta, in aree desertiche e disabitate, lontani migliaia di chilometri dalle loro case. Così, sostenevano gli esperti, “le impressionabili popolazioni del Mezzogiorno sarebbero state convinte ad abbandonare il brigantaggio. Qui, la pena delle deportazioni colpisce più delle fantasie ed atterrisce più della stessa pena di morte”.

Il governo italiano tentò in tutti i modi di trovare un luogo dove spedire questi malnati. Si sbizzarrì in tentativi diplomatici, tutti andati a vuoto, per convincere diverse nazioni a dare un pezzo di terra dove rinchiudere a cielo aperti questi criminali “terroni”. Tante furono le proposte, altrettanti i rifiuti: dal Mar Rosso al deserto tunisino, dall’isola di Socotra (sperduta tra la Somalia e lo Yemen), al Borneo. A causa dei dinieghi di Londra, Argentina e Olanda le deportazioni di massa in Italia non cominciarono mai. Il boia continuò invece l’opera sua.

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