Una buona tazza di tè: Hitchens, sul Corriere, pausa tra stragi e Berlusconi

Pubblicato il 6 Gennaio 2011 - 11:42 OLTRE 6 MESI FA

Come fare una, buona, tazza di tè è uno degli argomenti che il Corriere della Sera ha ritenuto meritevole della sua prima pagina, accanto a stragi, referendum di Mirafiori e Berlusconi. Diciamo subito che si tratta di una scelta che, secondo i canoni del pensar corretto può apparire blasfema.

Ma guardiamo l’interesse dei lettori: il tè, anche se con meno intensità del caffè, fa parte della nostra vita quotidiana.

Certo, il caffè ha un effetto più rapido sul nostro sistema nervoso e l’operazione, anche in un bar super affollato, può concludersi in pochi minuti, mentre bere una tazza di tè è una operazione complessa e più di più lunga durata, che solo di anglofili possono trasformare in pratica quotidiana. Ma proprio per questo, mentre il caffè è una operazione di routine per a maggior parte di noi, il rito del tè è riservato per le grandi occasioni e ha a volte anche un nascosto significato terapeutico.

Anche per questo la scelta di mettere in prima pagina una dissertazione su come si debba preparare il tè appare giusta, innovativa e anche nella grande tradizione del Corriere. Piero Ottone,  quando diresse il Corriere della Sera, negli anni ’70, ruppe alcuni tabù del vecchio giornalismo italiano. Per mesi gli addetti ai lavori discussero su un articolo, pubblicato in prima pagina, sul prezzo della bistecca, cosa che in quei tempi era pura eversione.

Proprio il tè, tra l’altro, fece parte dell’armamentario che Ottone usò per trasformare in una pattuglia d’assalto una sonnacchiosa redazione di tradizionalisti genovesi, quella del Secolo XIX di Genova quando ne assunse la direzione nel 1968 (andò al Corriere nel 1972). In una città legata ai suoi riti secolari delle lunghissime pause pranzo con sonnellino, Ottone non usciva dal giornale se non per rapidi lunch e alle cinque del pomeriggio, mentre i redattori affluivano nel suo ufficio per la rivoluzionaria innovazione della riunione, lui si faceva trovare, mentre sfogliava la Frankfurter Allgemeine Zeitung, a versare da una grande teiera in porcellana la sua dose di tè delle cinque. Il messaggio a quegli sconcertati genovesi era devastante: ho solo 44 anni, ma parlo tedesco, sono stato in Russia e ho vissuto a Londra, vivo nel grande mondo e voi non siete ancora usciti dai vostri carrugi, sveglia! E così di colpo portò il polveroso giornale da poco meno di 90 mila copie a oltre 120 mila, o almeno così raccontava lo strabiliato Amedeo Massari, che guidava la macchina diffusionale e produttiva e era convinto che nei giornali la qualità dei contenuti fosse un di più rispetto alla perfezione del suo apparato organizzativo.