Torino, Italia: da Montezemolo a Profumo il mito della società civile

di Lucio Fero
Pubblicato il 29 Novembre 2010 - 16:28 OLTRE 6 MESI FA

Luca Cordero di Montezemolo

Era un venerdì di fine novembre quando Luca Cordero di Montezemolo, dialogando in pubblico con Massimo Cacciari nella sede di una Scuola di formazione politica, aveva espresso una tentazione, una voglia di difficile realizzazione sostenuta però da un’assoluta certezza. La voglia: “Ci vorrebbe una lista civica nazionale”. La certezza: “Che raccolga le tante eccellenze civili”. Montezemolo non sa se questa lista civica nazionale possa esser composta e presentata, dubita possa “pesare” con il suo risultato in un Parlamento che si forma con la vigente legge elettorale dove chi prende il 35 per cento dei voti incassa il 55 per cento dei seggi. Però Montemolo è sicuro che il paese abbia, inespressa e purtroppo inutilizzata, abbondanza di “eccellenze civili”. Era la domenica appena successiva e a Torino una di queste “eccellenze civili” svaniva, evaporava: il rettore Francesco Profumo si ritirava, gettava la spugna e rinunciava alla candidatura a sindaco di Torino per il centro sinistra.

Colpa del centro sinistra che mai ce la fa a mettersi in sintonia con la “società civile” o conseguenza della insostenibile leggerezza della società civile italiana? Qui Profumo non c’entra: comprensibile e condivisibile è il suo lasciar perdere. Qui la questione è perché la società civile, sempre narrata come fortissima e ansiosa di farsi politica, mai riesca a farsi davvero politica. La versione, la risposta più in voga è che il ceto politico, il sistema dei partiti facciano da muraglia alla società civile. C’è del vero: quasi sempre il candidato della società civile si sfinisce e si snatura nella contrattazione con i partiti che dovrebbero sostenerlo e che in realtà non hanno gran voglia di annullarsi, anzi “inverarsi” nell’uomo, o donna, della società civile. E’ la verità, ma la parte piccola, la più piccola della verità.

La verità più grande è che la società civile è una trasposizione moderna e alquanto semplicistica dell’antico mito del “buon selvaggio”. Il mito contemporaneo chiamato società civile vuole che esistano, ingabbiati ma potenzialmente maggioritari, milioni di cittadini “buoni” con relative “eccellenze” pronti a fare quel che i partiti non fanno e cioè “la buona politica”. Ora che la “buona politica” non la facciano nè il centro destra nè il centro sinistra è quasi luogo comune. Tutti o quasi d’accordo nella pubblica opinione. Però l’accordo si basa su un equivoco, anzi su una bugia. La “buona politica” non è solo e soltanto la politica non corrotta e non teatrante. La buona politica è quella che coltiva al suo interno e diffonde tra la gente comune il senso di responsabilità. E non vi può essere senso di responsabilità se la realtà delle cose viene negata e nascosta. Oggi le opzioni politiche “in campo” sono un Berlusconi che dura e poi trionfa di nuovo, si fa “re” e cambia la Costituzione e i connotati, quelli rimasti, della democrazia parlamentare in Italia. Insomma, e non c’è enfasi nella definizione, l’opzione di una bancarotta della democrazia. Oppure quella di un centro sinistra che accompagna il paese alla bancarotta finanziaria tornando ad applicare il modello spesa pubblica più tasse.

Esiste davvero, c’è nel paese una società civile con relative eccellenze capace di dire al paese la verità e in grado di far assumere a se stessa e alla gente le relative responsabilità. Insomma qualcosa che non sia il “centro” tra destra e sinistra ma qualcosa che ha il coraggio di spiegare che dal debito pubblico bisogna rientrare cambiando i connotati alla vita pubblica e anche a quella privata di milioni di famiglie? Una società civile che non bussa a quattrini allo Stato ad ogni convegno di categoria? Una società civile che non grida alla “morte della salute” quando si prova a chiudere uno dei nove ospedali che ci sono nella dozzina di Comuni dei castelli romani? Una società civile dove i genitori non pretendano la promozione garantita dei loro figli a scuola? Una società civile che rinuncia all’integrazione al reddito di 80 miliardi annui di spesa pubblica “discrezionale”? Una società civile che discute il come e il quando ma accetta siano costruite centrali che producono energia o centrali che bruciano i rifiuti? Una società civile che garantisce un contratto vero ai precari limando le garanzie contrattuali per i garantiti al lavoro? Una società civile che difende la spesa per la cultura ma non  gli stipendi di chiunque dica di occuparsi di cultura? Una società civile che cerchi il consenso rinunciando a lisciare il pelo alle corporazioni di riferimento? Una società civile che contrariamente a quella politica corre responsabilmente il rischio dell’impopolarità immediata e punta sul beneficio differito di scelte che pagano in termini di interesse generale non nei sondaggi della settimana ma nel governo di anni. Ci sono le “eccellenze” e la “gente” che tali eccellenze sostiene e vota?

La risposta a queste domande è stata finora negativa. Ci si dimentica che “iniezioni” anche robuste di società civile nel ceto politico ormai avvengono da molti anni. E non per questo il ceto politico è migliorato in qualità e azione. Quasi l’intera Forza Italia prima e mezzo Pdl poi è stata in origine “società civile”. Avvocati, imprenditori, gente dei mestieri e delle professioni. Risultato: un Parlamento “degli affari”. E società civile è la Lega: ordinanze anti immigrati, richiesta di dazi economici, riscoperta della lottizzazione bancaria. E società civile è la “sinistra che va”, quella di Vendola che vuole tutti assunti e del deficit chi se ne frega. Il mito della società civile resiste anche alle smentite, dure, della realtà e della logica. Resiste alla verità storica e nega l’evidente verità per cui il ceto politico è specchio, appena un po’ deformante, della stessa società civile. Che in fondo analoghi sono i comportamenti sociali. Resiste e nega la prova provata per cui la società civile a quella politica una sola cosa chiede: intercettare e portare “sul territorio” denaro pubblico. Ed è un mito tanto tenue quanto avvolgente nella sua eterea consistenza: è falso in ogni parte del mondo e della storia che l’incompetenza politica e amministrativa siano garanzia apodittica di buon governo. Nessuno chiama per riparare il tubo l’idraulico che garantisca di non aver mai fatto l’idraulico.

A Torino il problema non è che che sia sparito, indotto a mollare un buon candidato della società civile. A Torino il problema è che il Pd non è un partito ma almeno quattro. E in Italia, per il centro sinistra, il problema è che il centro sinistra è fratello gemello di quella “Unione” che non poteva governare perché governare non sapeva, diviso al suo interno dalle fondamenta. Diviso come è divisa la sua gente, la sua società civile. E l’altra società, quella che sta con Berlusconi, non è società incivile. E’, semmai, società incosciente e indifferente. La società civile italiana non è “il partito che non c’è”, è la società che non c’è. Sarebbe meglio ci fosse, ma questo se non è un mesto alibi, è solo un cantilenante scongiuro.