ROMA – Chiuse le consultazioni di Giorgio Napolitano, il toto ministri sulla futura squadra di governo che accompagnerà Matteo Renzi alla guida del Paese si fa di ora in ora più fantasioso. Alessandro Baricco di andare alla Cultura non ne vuole sapere: “Non ho il talento per fare il ministro”, ha detto lo scrittore dopo aver pranzato con Renzi e avergli assicurato la sua collaborazione esterna. Mentre è all’Economia che la faccenda si scalda: l’idea è di metterci un politico dopo troppo indugiare nelle mani esperte dei tecnici.
Il Tesoro negli ultimi anni è stato in mano a tecnici di spessore ma privi della necessaria conoscenza della Pubblica amministrazione e delle logiche parlamentari. (Fabio Martini, la Stampa).
In calo dunque l’opzione Lucrezia Reichlin, scendono anche le quotazioni di Lorenzo Bini Smaghi:
Napolitano ha espresso un chiaro orientamento in favore di un governo con pochi tecnici e molti leader politici, motivo per cui potrebbe sparire dal totoministri il nome di Luca Cordero di Montezemolo, sul quale Renzi aveva puntato. Mario Monti ha declinato prima ancora di ricevere la proposta. E poiché sul nome di Fabrizio Barca c’è il veto di Alfano ed Enrico Morando scontenterebbe l’ala sinistra, ecco che i boatos portano avanti il nome di Romano Prodi. Una voce che al Nazareno non trova conferme e che in serata è l’ufficio stampa dell’ex premier a smentire: “La possibilità che Romano Prodi assuma l’incarico di ministro dell’Economia è destituita di ogni fondamento” (Corriere della Sera)
Il quotidiano la Repubblica punta invece sull’ad di Ferrovie, Mauro Moretti:
per lui facile pensare alle Infrastrutture o allo Sviluppo in caso di no da parte di Guerra. Nel qual caso al Lavoro potrebbe andare Tito Boeri o Marianna Madia, mentre resta la voglia del futuro premier di creare un ministero per promuovere l’Italia all’estero da affidare a Montezemolo. (la Repubblica)
E Andrea Guerra?
Il sindaco non dispera di fare il colpaccio portando allo Sviluppo l’ad di Luxottica. In panchina per quel ruolo gioca Carlo Calenda, ma il viceministro di Scelta civica deve vedersela con Stefania Giannini, avvantaggiata dal fatto di essere donna e interessata alla Cultura: incarico per il quale si è reso disponibile il socialista Riccardo Nencini, interessato pure agli Affari regionali (Corriere della Sera)
Poi c’è la fedelissima Maria Elena Boschi — a dispetto delle invidie dei colleghi uomini — è sospesa tra le Riforme, la Cultura e i Rapporti con il Parlamento:
Quest’ultimo è un ministero strategico. Renzi voleva affidarlo al portavoce del Pd, Lorenzo Guerini, ma ora il segretario si va convincendo che il più diplomatico dei renziani sia indispensabile al Nazareno, per reggere ben saldo il timone del partito. Alla Difesa ambiscono sia Emanuele Fiano che Roberta Pinotti, la quale però rischia, visto che ai franceschiniani spetta un ministero soltanto. Federica Mogherini ha qualche chance per gli Affari comunitari, che Enzo Moavero Milanesi, stimatissimo in Europa, sarà costretto a lasciare. Altra casella chiave è il Lavoro, per la quale sono in corsa Tito Boeri, Guglielmo Epifani e Cesare Damiano. Per la Giustizia il leader aveva pensato al giovane Andrea Orlando, ma il ministro dell’Ambiente vuole restare al suo posto. Crescono così le quotazioni del presidente del Tribunale di Milano, Livia Pomodoro, come Guardasigilli. E Alfano avverte: «Mai un giustizialista ».
Renzi lavora anche per trovare il nuovo ministro della Giustizia:
Se scende il nome del vicepresidente del Csm Michele Vietti, spunta una rosa di tre nomi: il presidente della Corte d’Appello di Torino Mario Barbuto, simbolo dell’efficienza grazie agli zero arretrati del suo ufficio; Andrea Proto Pisani, avvocato e professore di procedura civile a Firenze; Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano. Agli Esteri è possibile la conferma di Emma Bonino, anche se in queste ore tra i renziani di stretta osservanza si parla di un avvicendamento: al suo posto potrebbe arrivare un alto quadro della Farnesina (magari una donna) o Lapo Pistelli (Pd), viceministro degli Esteri con Letta (Corriere della Sera)
Resta il nodo Alfano che vorrebbe con forza mantenere a sé il Viminale:
Due ministri più un vicepremier senza dicastero, era l’intesa: e invece Alfano un dicastero per sé lo vuole. In più, il leader Pd sa che il logoramento al quale tenteranno di esporlo comincia appunto dai tempi di varo del governo: e dunque altro che tappeti rossi ed esecutivo- lampo. La partita, insomma, è cominciata: enonè tennis, stavolta, come Renzi già si aspettava…(la Stampa)
I commenti sono chiusi.