ROMA – Toto-nomi Quirinale. Patto Renzi-Bersani. Amato carta segreta per chiudere alla prima. Crescono le quotazioni di Giuliano Amato, la stampa politica ha raccolto negli ultimi giorni segnali positivi rispetto al candidato attraverso cui realizzare quello che sarebbe un vero e proprio colpaccio, eleggere alla prima votazione il nuovo presidente della Repubblica.
A dispetto della impopolarità di un ex presidente del Consiglio che in una notte del 1992 impose il prelievo forzoso del 6% sui conti correnti (e di lui si parla sempre a proposito di incarichi e di indennità), nonostante risulti sempre ultimo nei vari borsini allestiti dai quotidiani (ma nelle classifiche c’è sempre, è notorio che Amato piace a Berlusconi, non dispiace a Bersani (faceva parte della sua rosa ristretta prima che la scelta cadesse sul bis di Napolitano), non dispiace nemmeno a Sel che non trascura come Amato “ha nel curriculum la battaglia per i diritti civili condotta sul filo del laicismo” (De Marchis, La Repubblica).
E Amato non ha alcun fan club ma è una figura equidistante rispetto alle due anime del Pd, al punto che Pier Luigi Bersani, capo della riserva indiana del Nazareno, spinge per la sua elezione; e al contempo – grazie al suo passato nel Psi e alla sua lontananza da qualsiasi ortodossia veterocomunista – è la prima scelta di Berlusconi. In più, godrebbe dell’ endorsement del presidente «emerito» Giorgio Napolitano. E pazienza per il sarcasmo di Stefania Craxi («Amato ha condiviso nel bene e nel male con Craxi tutte le responsabilità del Psi. Craxi è morto in esilio, Amato presidente della Repubblica. È una bella notizia»). (Andrea Cuomo, Il Giornale)
A proposito di Craxi, almeno per completezza, va segnalato che l’altro figlio, Bobo, si dice certo che suo padre Amato lo voterebbe senz’altro e “non avrebbe obiezioni su eminenti uomini della nostra Repubblica e, nonostante le critiche, anche dure del passato, Giuliano Amato rientrerebbe, al pari di Romano Prodi, tra quelle figure eminenti”. In ogni caso, insieme al Patto del Nazareno, la cui validità intatta è stata di nuovo ribadita dallo stesso Berlusconi (una sonora smentita alle bordate di Renato Brunetta), Renzi ha scelto una interlocuzione privilegiata con Pier Luigi Bersani, titolare della pattuglia più agguerrita della minoranza Pd, specie con la legge elettorale ancora in bilico al Senato.
Sullo sfondo, proprio per la carica distruttiva potenziale relativa all’elezione del capo dello Stato, c’è sempre lo spettro di una deflagrazione del Pd. Il socialista Riccardo Nencini, a partire dalla defezione irrevocabile di Sergio Cofferati (ha lasciato il partito dopo la sconfitta alle primarie, ha fornito altre cartucce ai franchi tiratori), spiega la delicatezza del momento politico.
Riccardo Nencini invece ricorda che il voto per il Quirinale si è sempre trasformato in prove generali per nuove formazioni politiche. «Le minoranze dei grandi partiti hanno approfittato fin dagli anni Cinquanta dell’elezione del Capo dello Stato per battere un colpo. La rottura di Cofferati è solo l’ultimo caso fra i tanti preparatori di questo tentativo», dice il segretario del Psi. «Tutto lascia pensare che anche stavolta il voto diventerà una prova del budino per l’organizzazione di un partito della sinistra radicale italiana».
Per fermare questa impresa, Nencini tifa per Giuliano Amato e secondo i suoi calcoli tra autonomisti e socialisti in Parlamento il Dottor Sottile può contare su 31 voti sicuri. Ricomincerà quindi questa settimana il gioco del peso delle correnti e delle cene segrete per studiare le strategie. Oggi gli occhi sono puntati sulla riunione dei deputati dalemiani dell’associazione Italianieuropei, convocata, precisa l’ex premier, per fare il punto sulle risorse della Fondazione e sulla struttura organizzativa. (Goffredo De Marchis, La Repubblica)