Tremonti: "Siamo tutti in guerra contro il debito"

ROMA – ''L'impressione e' che alcuni partiti intendano gestire il futuro prossimo delegando, logorando, aspettando che i sondaggi gli aprano una finestra di opportunita'. Per tornare a sbattere. Il bipolarismo e' stato inventato per il governo della normalita'. Si stenta ancora a capire che siamo in guerra: la guerra del debito pubblico. Come ci siamo 'uniti' quarant'anni fa per sottoscriverne a fin di bene la cambiale, cosi' ora dobbiamo unirci per provare ad onorarne la scadenza''. E' un passaggio dell'intervento firmato da Giulio Tremonti e pubblicato oggi sul Corriere della Sera, in cui l'ex ministro dell'Economia compie un'analisi della storia del debito pubblico italiano.

Tremonti parte dalla storia della Repubblica che comincia senza debito pubblico, ''spazzato via dalla sconfitta in guerra e dalla grande inflazione''. Poi il cambio di rotta negli anni Settanta quando ''il costo sociale della modernizzazione in atto nel nostro Paese fu finanziato con spesa pubblica fatta in deficit''.

Una ''politica illuminata'', spiega, che ''degenero' solo negli anni successivi, prima incrociando la grande inflazione che, facendo lievitare i tassi di interesse, costrinse l'Italia a indebitarsi per pagare gli interessi sul suo debito; poi ancora incrociando e alimentando la corruzione politica'': ''piu' si spendeva a debito, piu' voti si prendevano – spiega -; peggio si spendeva, piu' preferenze si prendevano. E' cosi' che fu firmata una cambiale col diavolo. E' cosi' che fu aperta la fabbrica del debito pubblico. E' cosi' che la democrazia italiana degenero' in 'democrazia del deficit'''.

Cosi' si arriva alla ''prima scadenza'' della ''cambiale del debito pubblico'', prosegue Tremonti, determinando la fine della Prima Repubblica e ora la fine della Seconda Repubblica, ''proprio per effetto del debito pubblico''.

Il paradosso e' arrivato con l'esplosione della crisi: ''prima gli Stati occidentali hanno senza condizioni salvato la finanza. Oggi e' la finanza che senza pieta' attacca gli Stati sui loro debiti pubblici, mettendoli in drammatica competizione tra di loro''. In questo frangente, osserva Tremonti, ''se la politica, se la nostra democrazia non e' capace di aprire il cantiere del cambiamento costituzionale, allora possiamo dire che e' davvero a rischio''.

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