Un padre che ammazza una figlia perchè glielo comanda la sua etica religiosa “merita” un’aggravante o una “attenuante”? Il Tribunale che ha cominciato a giudicare El Katauoi Dafani non deve rispondere a questa domanda, deve solo applicare la legge, legge civile e non religiosa. Ma la morte di Sanaa, anzi la sua vita stroncata a coltellate dal padre, questa domanda la pongono. E, se è chiara la colpevolezza dell’omicida, di quale colpevolezza si tratti è stata materia di discussione sui giornali, tra la gente comune e perfino nel dibattito politico. Sanaa è stata uccisa dal suo stesso padre perchè la religione cui apparteneva, cui doveva appartenere, agli occhi di quel padre non poteva accettare lo scandalo della storia d’amore e della convivenza con un giovane italiano. Andare a vivere con il suo fidanzato era stato il suo “peccato”, la sua colpa, punibile con il massimo della pena che un genitore timorato di dio, del suo dio, deve infliggere. Quell’omicidio dunque è più ripugnante e grave perchè commesso “in nome di dio”, oppure trova nella fede dell’assassino una spiegazione se non una giustificazione? I valori della società occidentale contemporanea propendono verso l’aggravante morale, non così i valori delle società e delle comunità che fanno del rispetto della tradizione un idolo cui sacrificare anche una vita umana. Sanaa è stata uccisa ai nostri giorni ma il dissidio tra la morale della ragione e quella della fede data da secoli. Dissidio che ora investe l’Islam ma che lo stesso cristianesimo ha conosciuto per lunghissimo tempo.
Ora i giudici sono chiamati a decidere sul caso di Sanaa e sull’omicidio di cui la ragazza è rimasta vittima, in quel contrasto sempre più stridente che lega giustizia civile, precetto religioso e rispetto della persona umana.
Il processo si è aperto oggi nel pomeriggio, davanti al Gup di Pordenone Patrizia Botteri, quando ha avuto inizio l’udienza sulla richiesta di rito abbreviato avanzata dai legali di El Ketaoui Dafani. E’ lui l’immigrato marocchino che il 15 settembre 2009 che ha ucciso la figlia Sanaa, appena diciottenne, perché contrario alla sua relazione con un ragazzo italiano. L’istanza era stata presentata dai legali dell’uomo, Leone Bellio e Marco Borrella, in alternativa al processo con rito immediato, già fissato per il 27 settembre prossimo davanti alla Corte d’Assise di Udine.
Nell’aula del Gip stamani c’era anche il fidanzato di Sanaa, Marco De Biasio. C’era anche lui quel giorno a Montereale Valcellina (Pordenone) quando la furia omicida del padre della ragazza prese il sopravvento. Il giovane oggi è stravolto ma la sua posizione è ferma: “Da questo processo mi aspetto il massimo della pena e nulla di più” ha detto ai giornalisti poco prima di entrare nell’aula del Gup.
De Biasio, che rimase ferito nel tentativo di opporsi alla furia omicida dell’uomo, si è costituito parte civile nel procedimento. Il suo risarcimento, ha dichiarato, andrà “in parte a favore delle sorelline di Sanaa”. “Terrò qualcosa per rifondere le spese che ho affrontato per mettermi a posto dopo l’aggressione – ha detto il ragazzo – prima di tutto però si pensa alle piccole”. Ha paura per loro il giovane: l’uomo che ha ucciso la sua fidanzata deve pagare ma le sue figlie devono avere un futuro sereno, sembra voler dire, diverso da quel destino segnato e tragico cui è stata condannata la sua Sanaa.
“Mi attendo una pena esemplare – ha detto il ragazzo – non c’è un caso più eclatante, veritiero e con tutte le prove schiaccianti come questo”.
All’udienza era presente anche la madre di Sanaa, Dafna Charuk Dafani, assieme alle due figlie più piccole, accompagnata dall’Imam di Pordenone, Mohamed Ouadi. Con loro il ragazzo aveva un rapporto, che si è molto raffreddato negli ultimi tempi. “Ci sono stati nelle prime settimane ma ultimamente sono sorte delle difficoltà per una sorta di ostruzionismo che avverto da chi circonda la famiglia”, racconta. “La possibilità di vederle è davvero molto limitata”, mentre “con la comunità marocchina non c’é invece alcun tipo di rapporto”.
Per il padre di Sanaa uccidere sua figlia era diventato una vera e propria ossessione. La stessa ossessione per la sua religione che non gli permetteva di accettare l’oltraggiosa decisione della figlia di andar a vivere con il fidanzato italiano di 31 anni. “Era una settimana che ci provavo”, era stata la risposta choc di El Ketawi Dafani ai Carabinieri subito dopo il fermo. Un omicidio che non ha sorpreso nemmeno la moglie dell’omicida, la mamma di Sanaa Fatna Dafani che si era subito detta disposta a perdonarlo. “Mio marito – aveva detto subito dopo il brutale assassinio della ragazza – le mandava i messaggi per dirle ‘vieni a casa’, non dormiva fino alle 4 di mattina, non mangiava, fumava sempre, era sempre arrabbiato e voleva vedere la figlia”.
“Voleva bene a Sanaa – erano state allora le parole della madre – forse lei ha sbagliato”.