ROMA – “Uno alla volta”, il titolo lo detta Enrico Mentana e al suo cospetto, separatamente, uno per volta, si avvicendano i tre principali leader di coalizione alle elezioni del 24 e 25 febbraio. Trentacinque minuti a testa, anche se qualcuno (Berlusconi) sfora un po’. Il primo in ordine di tempo è Pierluigi Bersani, dopo di lui Berlusconi, infine Mario Monti. Un pareggio senza scoop che non aggiunge molto a quanto già snocciolato in queste settimane di “tetra campagna elettorale”, come l’ha definita lo stesso Mentana.
A tutti e tre Mentana chiede una parola sul tema del giorno: la vendita di La7 a Urbano Cairo. Già nel pomeriggio la vicenda aveva scatenato un dibattito a distanza tra Bersani e Berlusconi. Preoccupato di una vendita accelerata in piena campagna elettorale l’uno, indispettito l’altro per la ventilata ipotesi che Cairo fosse collegato a Mediaset e dunque uomo di Berlusconi. A Mentana Bersani ha ribadito di “non avere neanche nominato Berlusconi” ma con lo sguardo rivolto al futuro ha precisato: “Io penso che, e ragiono come se fossi al governo, prima di tutto cercherei di mettere in sicurezza il territorio industriale di un’azienda. Secondo, nel settore dell’informazione c’è la possibilità del governo di verificare eventuali conflitti di interesse o posizioni dominanti. Tra gli altri, c’è anche l’impegno a rivedere la Gasparri” e la legislazione Antitrust. La domanda, obbligata, ci sarà un ministro delle comunicazioni? “Ci sarà una funzione dedicata ma non faccio il toto ministri”, ha risposto Bersani.
A Berlusconi Mentana ha chiesto: “Con Urbano Cairo, La 7 sarà più vicina alle sue idee?” “Me lo augurerei. Perché la linea editoriale di La7, come lei conferma, nella grande maggioranza è critica nei miei confronti”, risponde il Cavaliere. Poi coglie l’occasione per ribadire la sua posizione di perseguitato dell’informazione. Finge persino di non ricordare il nome di Lucia Annunziata, “la conduttrice di In Mezzora, come si chiama…” Ospite del suo programma, racconta “ho avuto sei persone contro, è stata la mia migliore performance”. Poi scherza dicendo di avere una particolare predisposizione a dimenticare i nomi dei giornalisti a cui non è simpatico. “Mi chiamo Mentana..”, sottolinea sardonico il conduttore.
Più generico ma di vedute simili a Bersani è stato Mario Monti, anche lui convinto che “la normativa su pluralismo dei media e conflitto di interessi vada rivista”.
Altro tema della serata è stato il nodo irrisolto del confronto tv. Le risposte sono quelle già udite nei giorni scorsi: Bersani ribadisce che ha sempre detto di “fare il confronto tutti assieme. Francamente – aggiunge -mi sentirei in imbarazzo davanti a un Ingroia o a un Giannino che mi chiedessero spiegazioni su un confronto a tre o a due”. Ma secondo Berlusconi, suo successore in studio, “il confronto tv sarebbe solo una fiera inutile”. Il clima si scalda quando Mentana ricorda a Berlusconi che né con Rutelli né con Veltroni lui volle confrontarsi: “Perché non ci accordammo sulle regole”, sostiene il Cavaliere. “Io, che c’ero, smentisco”, controbatte Mentana.
Tutti e tre paiono ossessionati da Beppe Grillo. Bersani ce l’ha con lui quando “dice che non c’è destra né sinistra e non risponde alle domande dei giornalisti”. E aggiunge: “Capisco la gente che va in piazza. Vorrei chiedere a Grillo: dove la porti? Uno che non risponde a una domanda porta fuori dal meccanismo democratico. In questo momento di sbandamento è sua la responsabilità”.
Anche Berlusconi attacca il leader del Movimento 5 Stelle: il rischio, avverte, è che “ci sarà un Parlamento che rischierà di essere “balcanizzato”. Non si manda a casa nessuno, si manda Bersani e Vendola alla guida del Paese”. “Io sono molto preoccupato per questo signore che riesce ad avere un consenso a scatola chiusa”
Persino Monti confessa: “Grillo mi interessa molto. Credo di avere poco in comune con il leader a cinque stelle ma credo, invece, che i nostri elettori condividano le stesse idee”. Entrambi sono stanchi della politica tradizionale, questa è la tesi del professore, ma poi bisogna distinguere tra una protesta “colorita e vigorosa” come quella portata avanti dai grillini, e una protesta seguita da proposte concrete. Altrimenti, avverte il professore, il rischio è di “fare antipolitica fine a sé stessa” le cui istanze se si limitano ad esplodere non portano da nessuna parte.
E poi un invito, che rischia di restare inascoltato: “Io credo che con qualche riflessione in più chi vota Grillo potrà votare anche per un grigio e anziano Professore”.
Uno alla volta, i tre leader di coalizione hanno poi affrontato alcuni dei punti dei rispettivi programmi. Quello più a suo agio, che è riuscito a buttare molti temi sul tavolo, è Pierluigi Bersani: per prima cosa, lo ha detto spesso, una volta a Palazzo Chigi, convocherà in sala verde, la sala nella quale si svolgono le concertazioni tra Governo e parti sociali, la Caritas, l’Arci, i Comuni, per dare un messaggio di solidarietà e coesione, ma anche per fare qualcosa di concreto. Poi c’è da abolire tutto il pacchetto di leggi ad personam, in primis la legge Cirielli sulla prescrizione. E ancora: il falso in bilancio, norme antiriciclaggio, frodi fiscali. Il tutto condito con una bella lenzuolata di diritti: nozze gay e diritto di cittadinanza ai figli di immigrati nati sul suolo italiano. Bond per pagare i debiti della Pubblica Amministrazione, patto di stabilità coi comuni, economia verde per riabilitare il costruito. Tema fondamentale per Bersani è poi la banda larga, alla quale assegna priorità persino maggiore della Tav, se non fosse che “la considera un progetto già in corso”.
Berlusconi, invece, parla dei partiti che non hanno soldi: “In Italia non abbiamo fund raising, le persone non hanno l’abitudine di dare soldi ai partiti. Noi non abbiamo mai avuto soldi da nessuno, nel mio partito”, riesce a dire Berlusconi. A Palazzo Chigi, in caso di vittoria del centrodestra, “non andrò io perché con la Lega e gli altri abbiamo pensato che io farei meglio al ministero dell’Economia e dello Sviluppo perché è da lì che devono partire le riforme più importanti’, sostiene poi il leader del Pdl. Guardando alle sue esperienze passate, il Cavaliere ha spiegato che ‘prima era logico che andassi a palazzo Chigi. Ma ora penso di poter dare una mano al paese e ai miei concittadini dal ministero. Io, del resto, sono un italiano che è stato per più tempo premier nella storia della repubblica”.
Mario Monti, infine, si è tolto un po’ di sassolini dalla scarpa, concentrandosi sulle varie provocazioni giunte dal Cavaliere: “Berlusconi cialtrone? Ho usato quella espressione solo perchè il rovesciamento di frittata che ha fatto lo trovo un insulto alla buona fede e alla memoria degli italiani e comunque avevo già ricevuto un certo numero di epiteti”. E ancora: “Io guardo l’economia dal buco della serratura? “L’espressione si addice di più ad altre sfere”.
Berlusconi, secondo Monti, non ha nulla di moderato. “Capisco che Berlusconi abbia voluto offrirmi la guida dei moderati perché non ha più niente a che vedere con la moderazione”. “Credo – ha aggiunto il professore – che gli elettori moderati possano trovarsi bene in un partito come il Pdl, ma hanno abbastanza disagio a farsi rappresentare da questo personaggio simpatico e intelligente”.
Questa la sua analisi sul precedente governo: “Il governo Berlusconi ha dovuto accettare il diktat Trichet-Draghi anticipando il pareggio di bilancio al 2013. Io non lo avrei mai accettato, pur essendo un europeista’’. “La situazione – ha aggiunto il professore, riferendosi all’estate del 2011 – era sfuggita di mano e i tassi d’interesse sui titoli italiani erano saliti tantissimo. Nessuno si fidava più dell’Italia”.
Collaborare con Bersani: “E’ ovvio che si può ma, detto questo la coalizione di sinistra mi preoccupa sotto diversi aspetti, dal punto di vista economico e sociale’’. E cita il tema delle ‘’infrastrutture’’ e quello della ‘’spesa pubblica’’, ma soprattutto il fatto che ‘’le ricette che vengono da quella parte’’ sul fronte del lavoro ‘’vadano contro gli interessi dei lavoratori,dei giovani e dei disoccupati’’.