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Il “salario massimo” di Vendola, dopo quello “minimo” di Juncker

di Warsamé Dini Casali |14 Gennaio 2013 14:09

Il “salario massimo” di Nichi Vendola, dopo quello “minimo” di Juncker

ROMA – Fosse per lui, Nichi Vendola introdurrebbe anche un “salario massimo” oltre a quello minimo proposto dal capo uscente dell’Eurogruppo Juncker che, un attimo prima di congedarsi, rispolvera Karl Marx. Torna, enfatizzato dalla campagna elettorale, il dibattito sul grande divario sociale e morale dei salari. E’ ovvia, che per chi si definisce liberale in economia, la constatazione che nella formazione dei profitti e dei salari in ambito privato, non debbano essere ammessi criteri e programmazioni “di Stato” ingerenti la libera scelta individuale. Tuttavia, la stretta relazione tra i destini delle aziende, per esempio delle banche, e la vita concreta delle persone schiacciate da mancata crescita e accesso al credito negato, ha messo in mostra il poco edificante spettacolo di istituti di credito letteralmente salvati dalla collettività e i cui manager continuavano, incuranti dello scandalo, a chiedere e ottenere bonus milionari del tutto ingiustificati.

Vendola non fa fatica, non ha scrupoli ideologici a chiedere la “moderazione salariale” per i ricchi. “L’Europa sarebbe più forte se in tutto il Vecchio continente ci fosse una soglia minima; dal mio punto di vista sarebbe interessante immaginare anche una soglia massima delle retribuzioni. Perché no? Per esempio nelle pubbliche amministrazioni, sarebbe una cosa sensata porre un limite non soltanto in basso, ma anche in alto”. Obiezione prevedibile: i migliori manager fuggirebbero dal pubblico.

Il leader di Sel Nichi Vendola, insiste intervistato da Radio 24: “Il rigore è una bella formula, soltanto che si è molto più rigorosi con una parte della società e molto meno rigorosi con un’altra parte. Quando si tratta di bussare a casa dei pensionati o dei giovani precari o delle famiglie normali, queste classi dirigenti si presentano senza troppi complimenti; quando si tratta di bussare a coloro che abitano nei piani nobili dei palazzi del potere, allora le classi dirigenti diventano sempre molto pudiche. Ecco io vorrei fare il contrario”.

Populista? Forse. Ma è una tendenza che possiede agganci teorici, pozizioni forti. “Non esiste alcuna giustificazione economica per i salari esorbitanti dei dirigenti – afferma Jean-Jacques Friboulet, professore di etica economica all’università di Friburgo – Con la svolta liberale degli anni ’90, alcuni limiti sono saltati. La barriera morale, religiosa e culturale di essenza protestante, che frenava l’arricchimento nel capitalismo di tipo familiare, si è infranta”.

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