ROMA – Si è rotto il silenzio sulle intercettazioni telefoniche Grilli-Ponzellini. Lo ha fatto, non è l’unico, Luigi Zingales sul Sole 24 Ore di lunedì 2 ottobre per invitare il ministro a non trincerarsi dietro il no-coment: “Vittorio, per amore del Paese, chiarisci” si conclude l’intervento/appello. L’allora direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli telefonava all’ex presidente della Popolare di Milano Massimo Ponzellini, attualmente agli arresti domiciliari per corruzione privata.
Cercava Grilli, il 21 giugno dell’anno scorso (almeno ascoltando il contenuto delle telefonate), qualche sponda nell’ambiente finanziario per perorare la sua ascesa al ruolo di governatore della Banca d’Italia che Mario Draghi si accingeva a lasciare. Voleva verificare la posizione di Bersani, capire se potesse mostrarsi neutrale o perlomeno non ostile. Poteva contare sull’appoggio del suo superiore al Tesoro, il ministro Tremoti e del presidente del Consiglio Berlusconi. Tuttavia, non è questo il punto in questione, non è cioè l’attivismo con cui misurava le sue possibilità di carriera.
Scrive Zingales, infatti: “Anche se non ci piace che un tecnico si faccia la sua campagna personale con i vari politici, non siamo così moralisti da scandalizzarci per questo. Ma quello che non possiamo accettare è che per questa campagna Grilli abbia usato il presidente di una banca che poi, come governatore della Banca d’Italia, sarebbe andato a regolare. Pensiamo veramente che Ponzellini non avrebbe chiesto nulla in cambio dei suoi servigi? Altro che cattura del regolatore, qui si configura come un pericoloso do ut des. Se poi c’è stata davvero un’ingenuità da parte del ministro è bene che lo ammetta”.
In effetti, anche a tralasciare altre intercettazioni – stavolta sul versante Fimeccanica e riguardanti presunte e già smentite consulente “fittizie” (Orsi parla con Gotti Tedeschi) alla ex compagna di Grilli – il silenzio opposto dal ministro sulla vicenda Bpm rischia di diventare assordante. E’ vero, come nota maliziosamente Dagospia, che Grilli ha fatto sua la vera lezione di chi vuol essere potente, il silenzio. Inframezzato è vero da qualche conversazione che rompe la regola. Meno maliziosamente, e riguardo agli scandali che in successione permanente coinvolgono la cosiddetta classe dirigente, l’orgia di festini, malversazioni e corruttele varie rischia di scompaginare la gerarchia dei fatti, per cui le avventure dei Fiorito riempiono le prime pagine dei grandi quotidiani e le quantomeno inopportune raccomandazioni richieste da uno che fa il ministro dell’Economia passano alla chetichella.
Il Fatto Quotidiano del 2 ottobre, torna sulla questione per render conto al ministro di certe frasi, come quella rivoltagli dall’ex presidente Ponzellini per rassicurarlo, “su Bersani interveniamo noi, in Bpm abbiamo molti dei suoi”. A ricordare il contesto in cui erano quelle conversazioni non sono esattamente edificanti.
Scrive Marco Lillo: “Il problema è che quando accetta l’aiuto della Banca Popolare di Milano, Grilli sa bene che Bpm è sotto ispezione da parte della Banca d’Italia”. La quale, lo dice il suo rapporto, non aveva trovato una situazione contabile specchiata, tutt’altro: “Le verifiche a campione hanno fatto emergere sofferenze, incagli, ristrutturate e previsioni di perdita rispettivamente per 736 milioni, 1460 milioni, 742 milioni e 810 milioni, rispetto alle risultanze interne di 98 milioni, 454 milioni, 491 milioni, e 162 milioni”.
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