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Mauro-Zagrebelsky: lo “scandalo” della democrazia felice

di Emiliano Condò |24 Maggio 2011 14:51

ROMA –Un libro che sostiene e narra che la democrazia è “felicità”. Un libro che azzarda e computa questa equazione in un ambiente sociale che la rifiuta, più o meno consapevole di quel che rifiuta. La pedagogia delle tv, la fenomenologia dei comportamenti minimi, quotidiani ma costanti racconta che “felicità” è saltare, ignorare le regole, individualmente affrancarsi, guadagnare esenzione dalle regole e dal loro rispetto. Il senso comune proclama e grida che ci “ce l’ha fatta” è chi si è tirato fuori e sopra dai limiti, dagli equilibri, dalla bilanci dei doveri e diritti. Felicità è, qui e oggi, intesa come traduzione immediata, senza mediazione alcuna, dei propri bisogni in diritti che l’altro da sè non ha che da subire. Invece chi ha occasione di leggere l’ultimo libro del duo Ezio Mauro-Gustavo Zagreblesky è posto di fronte alla “stupefacente” tesi e constatazione che la democrazia conviene, non solo alle istituzione, alla politica, alle nazioni. Ma conviene anche alla “gente”, alla sua qualità della vita. Un libro che con orgoglio si cala in una democrazia stanca che sembra aver “stancato” chi ci è nato dentro e la considera acquisita per sempre.

Un libro difficile, perfino po’ ostico in alcuni suoi passaggi nonostante la forma scelta per la narrazione, quella del dialogo di greca memoria, aiuti a semplificare il compito del lettore. Ostico perché zeppo di riferimenti storico/culturali non certo alla portata di tutti, di sicuro non alla portata dei fruitori abituali dei libri di Bruno Vespa per intendersi, ostico per il tema che tratta, tanto vasto quanto complesso e ostico perché invita e incita a ragionamenti e speculazioni più che altro astratti. Un libro che per essere letto, e compreso, richiede quindi l’attenzione del lettore e l’utilizzo da parte di quest’ultimo del cervello e del raziocinio. Un libro di studio, un testo da studiare quindi nel paese in cui a fatica si legge, o meglio si compra, perché non esiste prova provata che il volume acquistato venga poi realmente letto dal soggetto acquirente.  Un libro forte e pesante nel paese che legge un libro all’anno o poco più. Un libro colto, specie nella parte in cui ragiona sulla democrazia in generale e sulla democrazia “nostra”, laddove per “nostra” non s’intende solo quella italiana ma quella moderna in senso lato e quella europea in particolare.

Un libro contro cui accanirsi: Marco Burini sul Foglio ne ha fatto una recensione-demolizione  che rivela un’antipatia assai malcelata sua e del suo giornale nei confronti del direttore de La Repubblica e del presidente emerito della Corte Costituzionale. Burini si concentra soprattutto nel criticare, smontare e irridere le tesi portate da Zagrebelsky, dimenticando Mauro. Interessante sarebbe tentare di comprendere perché il costituzionalista si meriti l’antipatia de Il Foglio più che il giornalista, ma questo è un’altra storia.

Al di là delle critiche mosse dal quotidiano di Giuliano Ferrara le recensioni sono in generale buone. Il libro in questione, di cui sino a qui colpevolmente si è omesso di citare il titolo, “La Felicità della Democrazia-un dialogo”, edito da Laterza, è in realtà un libro complesso da recensire. Non si tratta di un romanzo di cui si può giudicare l’architettura della trama o la validità stilistica o ancora l’abilità della tecnica con cui è stato scritto. Il Dialogo (chiamarlo con il sottotitolo mi sembra appropriato perché gli restituisce quel richiamo ai dialoghi filosofici che palesemente vuole ricordare) è un libro di ragionamento, e il ragionamento per sua stessa natura non è facilmente criticabile. Anzi non è affatto criticabile nella misura e con la coppia concettuale di bello o brutto. L’unica forma di critica per un ragionamento è quella del ragionamento stesso. Si può, in altre parole, criticare un ragionamento solo attraverso un altro ragionamento. Il libro di Mauro-Zagrebelsky non è perciò né bello e né brutto, e non potrebbe essere diversamente. E non è nemmeno un libro che si può condividere o contrastare, errore in cui cade il Burini. E’ al contrario un libro che cerca di porre delle questioni, anzi meglio, degli spunti. La forma del dialogo prevede, ovviamente, delle domande e delle risposte. Ma queste non possono mai essere assolute, e non hanno nemmeno la pretesa di esserlo. In un dialogo di questo tipo ogni risposta non è che l’introduzione alla domanda che seguirà.

Ovviamente, tra chi leggerà La Felicità della Democrazia-un dialogo, ci sarò chi lo giudicherà un bel libro, e chi al contrario ne rimarrà deluso, è la natura delle cose. Esistono persino persone che giudicano “noioso” Cent’anni di solitudine e quindi, anche se non si possono certo accostare i due lavori, vale ancora una volta il detto “il mondo è bello perché è vario”. Certo, volendo assolvere più nel dettaglio il compito di critica implicito nella recensione di un testo si può dire che la parte “migliore” del libro è quella del ragionamento sulla democrazia fatta da Zagrebelsky, mentre la ricerca della felicità attraverso la democrazia stessa, affidata per lo più a Mauro, risulta tanto intrigante quanto azzardata. Ma anche la divisione dei ruoli che i due autori si sono dati concorre a rendere più forte una parte a discapito dell’altra. Come nei dialoghi classici anche in questo testo le due figure che partecipano e danno vita al dialogo hanno dei ruoli, mentre Zagrebelsky veste i panni del filosofo a Mauro toccano i panni, altrettanto importanti, del discepolo che interroga il maestro. Naturale è che le risposte del “filosofo” siano quindi “migliori”, più complete e compiute. Come quella riportata di seguito che appare come un brillante estratto del testo tutto. “Se ci pensi, la ricerca della felicità era, originariamente, la rivendicazione sulla bocca degli infelici, cioè degli oppressi quali si sentivano gli americani al tempo della loro rivoluzione anticoloniale. Oggi, il senso s’è rovesciato. Sono i potenti che la rivendicano come diritto, la praticano e l’esibiscono, quasi sempre oscenamente, come stile di vita. Non sentiremo uno sfrattato, un disoccupato, un lavoratore schiacciato dai debiti, un genitore abbandonato a se stesso con un figlio disabile, un migrante irregolare, un individuo strangolato dagli strozzini, un rom cacciato che non ha pietra su cui posare il capo, una madre che vede il suo bambino morire di fame, rivendicare il suo diritto alla “felicità”. Grottesco! Sentiremo questo eterogeneo popolo degli esclusi e dei sofferenti chiedere non felicità ma giustizia. Un minimo di giustizia è ciò che ha preso il posto della felicità”.

Ora il libro di Mauro-Zagrebelsky prova, se non a raddrizzare l’albero storto dell’umanità, almeno a far sì che l’uomo occidentale ricordi a  se stesso che la democrazia è lo steccato e il vaso dentro cui la pianta cresce senza cannibalizzare le altre, senza divorare le sue stesse radici, senza assumere fattezze sghembe e cupe: una crescita serena che lascia la possibilità e la speranza della felicità intesa come appagamento morale e civile. Stare in pace con la propria coscienza e con le leggi perché entrambe possono coincidere nel terreno della democrazia. Democrazia che è regola, alveo, letto e argine dove scorre il fiume della volontà popolare. L’Occidente ci ha messo due secoli abbondanti per apprenderlo, praticarlo, stabilirlo in Costituzioni: giustizia e libertà sono ingredienti essenziali della felicità oltre che della ricchezza delle nazioni. Dopo due secoli l’Occidente appare colpito da svogliatezza e amnesia rispetto alla sua storia, un libro, questo libro prova a ricordarci chi siamo stati e chi dovremmo essere. Un libro è poco rispetto alla “vasta questione”, ma è un libro che parla e studia la vera questione. Vale la pena di studiare, con fatica e stupore, anche le pagine di Ezio Mauro e Gustavo Zagrebelsky.

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