Afghanistan: la Nato, l’eroina e il dilemma morale

«La politica è sangue e merda» diceva senza preoccuparsi del bon ton Rino Formica. Ma non solo, perché la politica, sempre rimanendo nell’ambito, può anche essere l’ultima persona della «Trinità pulp», ovvero l’eroina. Oggi nell’Afghanistan dell’era Obama, nell’Afghanistan della «più grande missione Nato» mai svolta, la politica, quella vera, quella che fanno i politici e che poi eseguono i militari, passa anche dall’eroina.

Il caso di Marja, distretto della provincia dell’Helmland, è particolarmente significativo. Le forze alleate tentano di conquistare la fiducia degli afghani in questa zona che, solo a febbraio, era ancora un bastione talebano. Tale obbiettivo ha messo una parte dei comandanti della Nato nell’insolita posizione di schierarsi contro l’eradicazione dei campi di oppio che punteggiano la zona e che, a raccolto finito, dovrebbero trasformarsi in eroina. Per il generale Stanley McChrystal la posizione è estremamente chiara: «Le forze Usa hanno smesso di eradicare».

La provincia dell’Helmland produce da sola più della metà della raccolta dell’oppio del paese. Circa il ventidue per cento delle terre coltivabili sono seminate a papavero, anche dopo i successi del governatore della provincia che ha riuscito a ridurre di un terzo la produzione.

Questi semplici dati mostrano bene di fronte a che tipo di situazione si trovino gli americani. Come da dottrina Obama, la guerra nel paese passa oggi anche attraverso la conquista dei cuori. Come, però, farsi amici una popolazione dedita alla coltivazione di oppio senza violare i propri principi morali (senza contare la complicità in un crimine)?

Da parte sua, il generale Stanley McChrystal lo ha detto a chiare lettere: «Le forze Usa non eradicheranno più i campi di oppio»; il comandate Jeffrey Eggers ha detto riferendosi al caso di Marja: «Non vogliamo calpestare i mezzi di sostentamento di quelli che dobbiamo conquistare».

Gli ufficiali afghani sono divisi riguardo al soggetto. Se qualcuno appoggia la posizione americana, molti, citando il divieto costituzionale sulla coltivazione dell’oppio, vogliono dissodare i campi prima che inizi il raccolto (il quale, secondo alcune fonti, in certe zone della provincia sarebbe già cominciato).

«Come si può permettere – dice Zulmai Afzali, responsabile del dipartimento Narcotici di Kabul – che il mondo veda le forze Nato permettere che i papaveri vengano raccolti per diventare veleno che uccide persone in tutto il mondo? Senza contare che così facendo, sono i talebani che si arricchiscono, in modo da poter tornare indietro e colpire di nuovo».

Al cuore del dibattito c’è una semplice questione di causa-effetto. E’ la mancanza di sicurezza che determina l’abbonante produzione dell’oppio o è, invece, la produzione dell’oppio la ragione della tanta insicurezza? Gli ufficiali americani credono che la causa prima sia l’insicurezza. Stando alle loro cifre, la coltivazione dell’oppio si è notevolmente diminuita in quelle regioni in cui le condizioni di sicurezza sono state aumentate.

In questo quadro, il problema dei raccolti di Marja non è stato ancora risolto. Gli ufficiali americani sanno che eliminare, a pochi giorni ridosso del raccolto, la principale fonte di guadagno di un’intera provincia non può che creare forti tensioni, maggiore insicurezza, ostilità verso le forze Nato. Al momento due soluzioni sono al vaglio anche se nessuna delle due pare veramente soddisfacente. Da una parte, gli americani potrebbero comprare il raccolto direttamente ai produttori, così da potere in un secondo momento distruggerlo; l’altra possibilità sarebbe di concentrarsi sulla lotta ai trafficanti e ai laboratori di eroina, lasciando indisturbati gli agricoltori. Entrambe le soluzioni pongono dei problemi dal punto di vista logistico, giuridico, morale.

Intanto, il tempo passa nei campi nei dintorni di Marja. Quest’anno probabilmente ci sarà un grande raccolto, per giunta nemmeno disturbato dalle lotte tra forze Nato e Talebani, visto il saldo controllo della regione nelle mani degli Americani.

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