L’Africa dei dittatori travolti da troppo potere: da Bokassa a Menghistu, arriva Gheddafi

Muammar Gheddafi

ROMA – L’ultimo dittatore a lasciare poltrona e oratoria farneticante potrebbe essere Muammar Gheddafi. Aggrappato al suo potere da 40 anni suonati, andrebbe a rimpolpare una lista fitta di despoti e capi di Stato che hanno assediato l’Africa.

Una lista che, dalla prima pagina di Repubblica, Vittorio Zucconi bolla come una “una lunga carovana di ladri, di assassini, di dementi” che ha riempito l’ultimo mezzo secolo di uomini come Haile Menghistu, che prese il potere del governo militare in Etiopia nel 1977 e fu deposto dalle forze ribelli nel 1991.

O ancora come Jean Bédel Bokassa, dittatore dell’ex Congo, dal 1966 fino al 1979 quando un golpe fece saltare il suo trono. Megalomani, genocidi, li definisce Zucconi, che li reputa colpevoli di avere inchiodato il continente allo stereotipo di “lato buio del mondo”, come scrisse Joseph Conrad.

Nella carovana dei tiranni Zucconi ricorda anche Idi Amin Dada, padrone in Uganda dal 1971 al 1979, cacciato dai ribelli aiutati dalla Tanzania. “Le sue uniformi da operetta dell’orrore nei giorni dell’ossequio estero sembravano quelle che “l’Ultimo re di Scozia, Sua Eccellenza Conquistatore dell’Impero Britannico, dell’Africa in Generale e dell’Uganda in Particolare”, più noto brevemente come Idi Amin, esibiva. La sua megalomania sfiora quella di Mobutu Sese Seko dello Zaire, il cui titolo ufficiale completo significava “Il guerriero onnipotente che, grazie alla propria inflessibile forza e implacabile volontà, cammina di conquista in conquista lasciando dietro di sé una scia di fuoco””, scrive Zucconi.

E nella top ten dei peggiori d’Africa mandati via, l’ultimo ad essersi guadagnato il posto è stato l’egiziano Hosni Mubarak, rais d’Egitto per trenta lunghi anni, o quasi.

Chi sarà il prossimo? Potrebbe essere il colonnelo che si definisce “Fratello Guida della Grande Rivoluzione del Primo Settembre del Popolo Socialista della Jamahiriya Araba della Libia”.

Come fa notare Zucconi “è un corteo da inferno dantesco quello dei despoti caduti dopo avere succhiato la ricchezza di un continente che ospita un ottavo della popolazione mondiale e ogni immaginabile risorsa naturale, ma nel quale soltanto due nazioni ai capi opposti della mappa, Libia e Sud Africa superano i 3 mila dollari di reddito medio annuo per abitante. Dopo la grande fuga delle nazioni coloniali europee nelle quali si distinse nel 1960 per cinismo e per rapacità il Belgio lasciando il Congo senza un solo medico, la sequenza di rivolte succedute da repressioni poi da regimi e da nuove ribellioni è stata un ciclo ininterrotto di sangue. L’Africa si muove secondo le maree del “grande gioco” fra Est e Ovest, fra Urss e Usa, ora fra Cina e Occidente. Perenne terreno per tutti gli “scontri di civiltà” combattuti nel nome e per conto di altri. Della qualità dei capi banda che si succedevano al timone di nazioni disegnate sulla carta del continente ancora con la penna insensante della spartizioni europee ottocentesche non importava nulla a nessuno”.

La Libia della transizione sembra avere le stesse drammatiche caratteristiche: un leader in declino ossessionato dal potere, un popolo oppresso per anni, vecchi uomini del regime pronti a riciclarsi e a confondersi anche tra i rivoltosi pur di non scomparire.

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