NEW YORK – “Noi siamo i più forti e abbiamo affrontato dei cambiamenti straordinari”. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha tenuto il suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione invitando i cittadini americani a non cedere alla paura e all’odio. Un invito che Obama rivolge ai suoi cittadini citando Papa Francesco, per poi lanciare il suo affondo contro i Repubblicani, un affondo che però rimane pacato e un invito all’unione per le grandi riforme ancora da fare.
Obama è arrivato alla Casa Bianca nel 2009 e da allora è molto cambiato. “Yes we can”. “Si noi possiamo”, questo il motto che il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti ha gridato durante la sua campagna elettorale. Dopo due mandati alla Casa Bianca, il prossimo novembre 2016 sarà il momento delle elezioni e le campagne elettorali vanno avanti.
Intanto Obama parla alla nazione e lancia un messaggio che vuole riunire e riappacificare. I toni sono pacati, distesi, seppur appassionati. E mettono in chiaro che con un Paese diviso (“il mio più grande rammarico”, ammette) è difficile completare e raggiungere i progressi necessari: dalla lotta ai cambiamenti climatici alla stretta sulle armi, dalla riforma sull’immigrazione alla lotta alle ineguaglianze sociali e e sul fronte del reddito.
Tra gli ospiti che siedono in tribuna nell’aula della Camera dei rappresentanti, dove il Congresso è riunito in seduta plenaria, ci sono alcuni simboli di quelle battaglie che costituiscono gran parte dell’eredità del primo presidente afroamericano della storia: un rifugiato siriano, un ex immigrato clandestino, la persona a cui si deve la svolta sulla legalizzazione delle nozze gay, una veterana del Vietnam che era rimasta senza una casa.
C’è anche una sedia vuota per ricordare le vittime delle armi da fuoco, una piaga in America. Di fronte a tale pubblico Obama fa una promessa: finché sarà alla Casa Bianca si batterà ricorrendo a tutti quei poteri che rientrano nelle sue prerogative. Al Congresso a maggioranza repubblicana tende la mano sottolineando come ci sono ancora temi bipartisan e di buon senso su cui un accordo può essere raggiunto, vedi la riforma della giustizia penale:
“Che ci piaccia o no i cambiamenti in atto non potranno che accelerare”, dice Obama, sottolineando come stavolta il suo discorso non è una lista delle cose da fare nell’anno a venire, ma “un discorso sul futuro, sui prossimi 10 anni”.
E cita anche Papa Francesco, ricordando le parole che il Pontefice pronunciò proprio davanti al Congresso lo scorso settembre:
“Imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore per prendere il loro posto Così quando i politici insultano i musulmani questo non ci rende più sicuri. E’ solamente sbagliato. Ci sminuisce agli occhi del mondo e rende più difficile raggiungere i nostri obiettivi. E tradisce quello che siamo come Paese”.
Anche qui un riferimento neanche tanto velato a Donald Trump e alla sua proposta shock di vietare l’ingresso dei musulmani negli Usa e di chiudere le moschee. Obama replica quindi a chi descrive l’America come un Paese in declino dal punto di vista economico e senza leadership sul fronte della politica estera. Parla di “venditori di fumo”, e rivendica i risultati raggiunti dopo la grande crisi sul fronte della crescita e dell’occupazione. E sottolinea come non ci sia alcuna minaccia all’esistenza dell’America, nonostante le difficoltà e la complessità della lotta all’Isis e al terrorismo.
“Non siamo di fronte a una terza guerra mondiale”, afferma, difendendo con forza lo storico accordo sul programma nucleare dell’Iran che “ha evitato un nuovo conflitto”. Nessun cenno all’incidente nel Golfo Persico dove due navi Usa sono state catturate dagli iraniani che per una notte hanno trattenuto i 10 membri dell’equipaggio. Un incidente accaduto a poche ore dal discorso sullo stato dell’Unione.
Obama saluta, molti gli applausi, anche da alcuni da repubblicani come il senatore John McCain. Professa ottimismo e si dice speranzoso per il futuro. E spera che fra 10 mesi a succedergli sia chi è veramente in grado di portare avanti quei cambiamenti che – sottolinea – sono inevitabili. Ma il cui successo dipende solo da scelte condivise.