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Caccia, la Corte Ue condanna l’Italia per la legge della Lombardia

di admin |15 Luglio 2010 18:22

La Corte di giustizia della Ue ha condannato l’Italia per la legge regionale della Regione Lombardia sulla caccia che autorizza, in deroga, l’attività venatoria a quattro specie protette: fringuello, peppola, pispola e frosone. La Corte ha accolto il ricorso della Commissione Ue ritenendo la legge non completamente conforme alla direttiva europea sulla conservazione degli uccelli selvatici e tale da non garantire che le deroghe adottate ne rispettassero le condizioni e i requisiti. In attesa della sentenza, la legge era stata sospesa nel dicembre scorso dal presidente della Corte di giustizia.

La Commissione europea era ricorsa alla Corte ritenendo la normativa non completamente conforme alla direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici e tale da non garantire che le deroghe adottate ne rispettassero le condizioni e i requisiti. Secondo l’esecutivo Ue, che il 20 novembre scorso aveva chiesto alla Corte la sospensione della legge, la determinazione delle piccole quantità che possono essere cacciate, cosi’ come previsto dalla normativa lombarda, ”non è stata effettuata in base a informazioni scientifiche, bensi’ su un calcolo al quale ha provveduto la stessa amministrazione”.

I giudici hanno accolto le obiezioni dell’esecutivo europeo ricordando che la normativa comunitaria in materia di conservazione degli uccelli selvatici deve essere interpretata alla luce del principio di precauzione, che e’ uno dei fondamenti della politica di tutela perseguita dall’Unione europea in campo ambientale. Considerato che la legge di trasposizione nell’ordinamento italiano della direttiva europea concernente la conservazione degli uccelli selvatici, ”non e’ completamente conforme a tale direttiva” e che ”il sistema di recepimento dell’art. 9 di quest’ultima non garantisce che le deroghe adottate dalle autorita’ italiane competenti rispettino le condizioni e i requisiti previsti da tale articolo”, i giudici hanno stabilito che l’Italia ”e’ venuta meno agli obblighi ad essa incombenti”. Pertanto – hanno sentenziato i giudici – ”la Repubblica italiana e’ condannata alle spese, ivi comprese quelle relative al procedimento sommario”.

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