La “pace russa” in Cecenia è solo fittizia. Nonostante gli annunci dell’ex presidente russo Vladimir Putin (secondo il quale la situazione si era “normalizzata”) e del presidente ceceno Ramzan Kadyrov (che aveva assicurato di avere la “situazione sotto controllo”), l’ex Paese sovietico è una polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro.
L’attacco sferrato in Parlamento dai ribelli il 19 ottobre ha infatti dimostrato che la tregua siglata ufficialmente nel 2009 è ancora una chimera per il Paese caucasico.
La cosiddetta “pax russa” era il frutto di un accordo tra le autorità di Mosca e quelle di Grozny: in pratica Kadyrov sarebbe stato “spinto” dai russi fino alla presidenza perché avrebbe garantito il “controllo” del territorio. Un “controllo” che Kadyrov esercita con la forza, visto che ha ammesso “candidamente” che l’attacco è stato “sedato” dalle forze di sicurezza cecene in collaborazione con alcuni militari russi (probabilmente legati ai servizi segreti di Mosca): i soldati sono entrati nel Parlamento occupato e hanno ucciso tutti i ribelli che vi erano all’interno.
Ed è per questo che secondo l’opinione più diffusa l’attacco al Parlamento sia stata un’offensiva diretta a Kadyrov. Non sarebbe la prima volta, d’altronde, che gli indipendentisti prendono di mira il presidente, del quale non condividono sicuramente i “buoni uffici” con i “nemici” russi: lo scorso 29 agosto un commando di una trentina di ribelli aveva compiuto un’incursione proprio nel villaggio natale Kadyrov, a Tsentoroi, quasi a lanciare una vera e propria sfida al cuore del feudo di Ramzan. In quel blitz, per contrastare l’attacco, morirono 12 guerriglieri e cinque ufficiali di polizia.
I ribelli anti-Kadyrov sono prevalentemente musulmani guidati da Dokka Umarov e agiscono spinti da due desideri: l’indipendenza totale dalla Russia e la “vendetta” di parenti e amici uccisi dall’esercito di Mosca e dai “fiancheggiatori” di Grozny. Infatti anche le kamikaze che si sono lasciate esplodere nelle stazioni della metro di Mosca lo scorso 29 marzo (causando 39 morti) erano parenti di guerriglieri ceceni uccisi dagli “occupanti” russi.