Il regime cinese censura Internet per paura del “contagio” delle rivolte

PECHINO – In seguito a degli appelli a protestare sul modello della Tunisia e dell’Egitto, la polizia ha rafforzato in Cina il controllo e la censura di Internet. Per diverso tempo LinkedIn non sarebbe stato più accessibile dagli utenti.

LinkedIn è un sito dedicato principalmente alle reti professionali ed è accessibile a tutti gli utenti cinesi, a differenza dei più celebre Facebook, You Tube, Facebook e Twitter, bloccati da una rete di controllo interna, chiamata ‘Great Firewall of China’. A questi siti, bloccati dalle autorità fin dal 2009, accede oggi pienamente solo quello sparuto numero di cinesi, che riescono ad aggirare i muri imposti dalla censura.

Accanto al blocco che ha colpito LinkedIn, si segnala un altro episodio di censura. Ancora ieri, 25 febbraio, sul popolare sito di microblogging Sina Weibo le ricerche relative all’ambasciatore americano Jon Huntsman si concludevano con un messaggio secondo il quale i risultati non erano disponibili a causa di non specificati “leggi, regolamenti, linee politiche”.

Tutto sarebbe nato da un avvenimento banale. Circolava in Cina da pochi giorni un video che mostra Huntsman mentre osserva la folla che inscena una piccola protesta in Pechino. Un uomo cinese chiede ad Huntsman cosa stia facendo e se vorrebbe vedere il caos anche in Cina, al ché l’ambasciatore abbandona la scena senza fare commenti.

L’ambasciata americana ha ammesso di essere a conoscenza della censura legata al nome di Huntsman e ha inoltre specificato che il video in questione riprendre l’ambasciatore e alcuni membri della sua famiglia mentre stavano passando attraverso una via animata dello shopping pechinese.

Diversi siti e network hanno tentato di lanciare un appello alla protesta, prendendo ispirazione dagli avvenimenti che stanno sconvolgendo l’Africa del Nord. I richiami hanno attratto pochi dimostranti, ma sono serviti comunque a impensierire il paranoico regime cinese. Oltre alla censura e al controllo rafforzati sulla rete cinese, la polizia ha interrogato, arrestato o messo in stato di fermo più di un centinaio di persone, secondo la testimonianza del gruppo di protezione dei diritti umani China Human Rights Defenders.

Almeno cinque persone sono attualmente in stato di detenzione provvisoria con capi di imputazione di eversione. In alcuni casi i detenuti avevano semplicemente inoltrato dei messaggi relativi alle proteste. La polizia ha, inoltre, obbedendo ad una prassi insolita, convocato l’Associated Press e altre agenzie di stampa e giornali per un breve incontro al fine di ribadire i regolamenti a cui i giornalisti stranieri devono sottoporsi per ricevere l’autorizzazione ad interviste da parte di agenzie, compagnie commerciali e privati cittadini.

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