La Cina e la “rivoluzione francese”? Un fraintendimento dietro la frase di Zhou Enlai

Zhou Enlai

ROMA – “L’impatto della rivoluzione francese? Troppo presto per giudicarla”: dietro a questa frase celebre pronunciata nel 1972 dall’allora premier cinese Zhou Enlai ci sarebbe un errore di traduzione. O meglio, di comprensione.

Quello che per decenni è apparso come un esempio della ponderatezza cinese e orientale nel giudicare gli eventi, contrapposta all’impazienza occidentale, è in realtà un giudizio mancato per prudenza e opportunità politica: la rivoluzione a cui alludeva Zhou, infatti, non era quella del 1798, con la presa della Bastiglia, bensì quella del maggio 1968, assai più vicina nel tempo e, soprattutto, nell’ideologia.

Quel maggio aveva visto la Guache francese ispirarsi proprio al maoismo. Esprimersi a riguardo avrebbe potuto significare per Zhou il rischio di critiche. Qualunque fosse stato il suo giudizio.

Così, durante l’incontro nel febbraio del 1972 a Pechino con l’allora presidente Richard Nixon, primo capo di Stato americano a visitare la Repubblica Popolare Cinese, Zhou preferì mantenersi prudente.

A svelare il vero significato di una frase tanto abusata è, scrive il Financial Times, il diplomatico americano Chas Freeman, all’epoca dei fatti assistente del segretario di Stato Usa Henry Kissinger.

Freeman ha chiarito il fraintendimento in occasione della presentazione, a Washington, dell’ultimo saggio di Kissinger “On China”. “Ricordo chiaramente lo scambio. Ci fu un fraintendimento troppo delizioso perché lo si correggesse”, ha raccontato Freeman.

Geremie Barme, professore dell’Università nazionale australiana ed esperto di cultura e storia cinese, spiega che la frase di Zhou si integrava perfettamente con la diffusa visione occidentale di una “obliquità orientale” che vedeva oltre il futuro prossimo ed era “in qualche modo profonda”. “Mentre in Cina, sottolinea Barme, si sente dire per lo più che la visione dei leader è a breve termine, profondamente pragmatica e tutt’altro che perspicace”.

Non bastasse tutto questo, Barme ha aggiunto che i ricercatori cinesi che hanno avuto accesso agli archivi del ministero degli Esteri a Pechino sostengono sia chiaro che Zhou si stava riferendo ai moti del 1968 a Parigi. Non solo: gli archivi dimostrerebbero anche che la conversazione tanto celebre non avvenne con Nixon, bensì con Kissinger.

Ma non è l’unico caso di cattiva interpretazione di una “massima” cinese. Anche la nota frase di Deng Xiaoping “Arricchirsi è glorioso”, pronunciata nel 1979 per giustificare la conversione al capitalismo sarebbe in realtà un’invenzione: non c’è nessuna traccia che Seng l’abbia mai pronunciata.

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