Cina, la leader degli uiguri Kadeer: “Basta repressione e violenze. Pechino deve negoziare”

Pubblicato il 22 Ottobre 2010 - 16:42 OLTRE 6 MESI FA

Rebiya Kadeer

Chiede da anni l’autodeterminazione degli uiguri, gli antichi abitanti della provincia autonoma dello Xinijang ( o Turkestan orientale), da secoli controllato dalla Cina.  Rebiya Kadeer, 63 anni, è la voce in esilio di un popolo che non riesce più a vivere all’interno della Repubblica Popolare.

“Dopo il massacro da parte delle forze di sicurezza di Pechino – spiega in un’intervista al Corriere della Sera -la maggioranza della mia gente ritiene che soltanto un Turkestan orientale separato possa garantire loro sicurezza e diritti fondamentale”. Ma il Hu Jintao non la pensa così.

Kadeer ha passato sei anni in prigione per “attività separatiste”. Oggi è il presidente del Congresso mondiale degli uiguri con sede a Washington. Il 23 ottobre sarà a Roma per la terza edizione della Marcia internazionale per la libertà, quest’anno dedicata ai popoli birmano, iraniano, tibetano  e, appunto, uiguro.

Riguardo alla situazione nella Xinjiang, Kadeer è preoccupata: “La situazione sta peggiorando terribilmente, dice al quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli. Invece di cercare di comprendere le nostre ragioni, Pechino ha colto al balzo l’occasione per intensificare la repressione e la distruzione delle città, della cultura, della lingua, della religione e delle usanze del popolo uiguro. Allo stesso tempo, denunzia, sono aumentate le requisizioni di terre e proprietà per facilitare la colonizzazione del nostro territorio da parte dei cinesi”.

Sui suoi due figli in prigione da quattro anni “in pessime condizioni”, Kadeer dice che “sono stati incarcerati in rappresaglia per le mie aperte critiche contro Pechino dopo la mia liberazione e il mio esilio negli Stati Uniti, dal marzo 2005”.

Nonostante tutto questo, la leader degli uiguri non ha smesso di combattere per le proprie idee. “Mi batto perché gli uiguri ottengano il diritto all’autodeterminazione. Chiedo al governo di Pechino di dare vita al più presto ad un negoziato per trovare, insieme, una soluzione pacifica alla questione del Turkestan Orientale. Non crediamo più all’autonomia. Vogliamo qualcosa di più”.

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