I condannati a morte hanno diritto di sapere come lo Stato intende ucciderli?

I condannati a morte hanno diritto di sapere come lo Stato intende ucciderli?
I condannati a morte hanno diritto di sapere come lo Stato intende ucciderli? (Ap-LaPresse)

WASHINGTON – I condannati a morte hanno diritto di sapere come lo Stato intende ucciderli? La domanda è stata sollevata un mese fa da tre giudici della Corte Suprema Usa, dopo alcuni casi che dimostrano che l’iniezione letale sta diventando una “punizione crudele e disumana” che viola l’Ottavo Emendamento. Una questione dipanata in un ragionato articolo di Adam Liptak sul New York Times.

Succede che i produttori di barbiturici, quasi tutti europei, stanno boicottando l’esportazione negli Usa dei farmaci – come il Pentobarbital – che compongono i cocktail letali che vengono iniettati al condannato.

Rimasti a secco dei prodotti che assicuravano una morte più o meno indolore del condannato entro sette minuti, gli Stati americani che adottano la pena di morte (44 su 50) sono entrati in una fase sperimentale, nella quale la sostituzione dei barbiturici con sedativi per animali e altri farmaci non meglio precisati hanno portato al risultato di prolungare a 13 minuti l’agonia di Wiliam Happ e far urlare di dolore (“sento il mio corpo bruciare!”) Michael Lee Wilson, giustiziati il 30 e il 9 gennaio scorso, Happ in Florida e Wilson in Oklahoma.

Se la mancanza di Pentobarbital trasforma l’iniezione letale in una punizione crudele (che si aggiunge alla crudeltà della pena di morte in sé), ci sono alcuni Stati come il Missouri che hanno deciso di tornare alla camera a gas.

Quindi hanno diritto i condannati di sapere con quale cocktail di farmaci saranno giustiziati? O è solo uno stratagemma degli abolizionisti per dichiarare incostituzionale la pena capitale perché, come dichiara il professore di diritto della Cornell University Michael Dorf, “per gli avvocati tutti i metodi di esecuzione sono incostituzionali”?

C’è poi una sentenza della Corte d’Appello degli Stati Uniti dell’Ottava circoscrizione, che stabilisce che, se i detenuti vogliono sapere quali sostanze chimiche lo Stato intende utilizzare per ucciderli, devono prima proporre un metodo che loro ritengono accettabile per la loro esecuzione. Un verdetto che crea un “conflitto grave e sinistramente ironico” per gli avvocati, perché “l’obiettivo principale di ogni avvocato che difenda un condannato a morte è quello di impedire l’esecuzione del suo cliente”.

Ma la professoressa dell’Università di Fordham Deborah Denno, esperta in questioni legate alla pena capitale, ha detto al New York Times che i problemi sollevati contro l’iniezione letale sono autentici: “Non è solo uno stratagemma tirato fuori dagli abolizionisti” ha detto. La Denno propone una soluzione tranchant: tornare alla fucilazione.

“Abbiamo un metodo, è il plotone d’esecuzione. È l’unico metodo in cui ci sono persone che sono addestrate ad uccidere in quel modo”.

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