Il summit sul clima organizzato a New York si proponeva importanti obiettivi in vista della conferenza di Copenaghen dove si dovrà trovare un accordo mondiale che sostituisca il Protocollo di Tokyo. L’impressione è che la montagna abbia prodotto un topolino, nonostante la grande soddisfazione espressa dal segretario generale dell’Onu che pure in avvio dei lavori aveva messo tutti in guardia sulla necessità di darsi una mossa e accellerare i tempi per ridurre le emissioni di carbonio e contrastare il riscaldamento globale.
Le assicurazioni di Obama circa un significativo contrasto alle emissioni, anche attraverso lo stop alle sovvenzioni statali ai carburanti, assumono più il valore di slogan propangandistici che di effettivo cambiamento. Negli Usa il dibattito sul clima si è arenato, la conservazione dell’ambiente conta moltissimi nemici, molto ben organizzati, a destra come nel partito del presidente. Le centinaia di miliardi di dollari che servono a finanziare interventi di stimolo alle energie alternative vengono bollate come “puro socialismo”. E le proteste si aggiungono all’isteria scatenata dalle riforme in campo sanitario, bollate anch’esse come bolsceviche.
Per quanto riguarda la Cina il discorso è ancora meno incoraggiante: Hu Jintao ha fatto concessioni importanti in termini di volontà di cambiamento ma non ha indicato cifre, linee guida o dati che ne misurino la portata. Inoltre il dibattito sembra orientato unicamente sulla diminuzione delle emissioni: anche le più ottimistiche previsioni contrastano con il fatto certo che l’industria dei giganti asiatici crescerà a un ritmo tale da vanificare gli effetti di qualsiasi riduzione preventiva.