Chiuso vertice su clima: 21 ore di ritardo e un accordo deludente

L’assemblea del Vertice Onu sul clima ha chiuso i lavori alle 15.28. Il vertice, cominciato il 7 dicembre scorso, si è chiuso con 21 ore e 38 minuti di ritardo
rispetto all’orario inizialmente previsto (le 18 di ieri). 

L’accordo raggiunto in mattinata al vertice di Copenhagen sul cambiamento climatico era stato dato per certo e poi in bilico per tante ore dopo che l’assemblea plenaria del  vertice Onu sul clima è continuata per tutta la notte.

All’alba c’erano ancora “molti paesi”, secondo quanto indicato dal presidente Rasmussen, iscritti a parlare.

Il documento preparato venerdì sera non è stato ancora approvato. La discussione è stata tra l’altro infiammata dall’intervento del Sudan che ha accusato gli estensori della bozza di documento finale di “olocausto” e di voler condannare alla morte “milioni di persone”.

Numerose le incertezze di procedura durante la discussione notturna, che è stata sospesa due volte.

L’ipotesi di accordo che è sul tavolo, per alcuni è una enunciazione di principi che nascondono in realtà disaccordo, mentre per altri – la stragrande maggioranza – è un successo anche se non perfetto. Così a notte fonda il  vertice Onu, dopo 12 giorni di trattative tra 193 paesi e, per la prima volta, oltre 110 capi di stato e premier, 45.000 richieste di accredito, non aveva ancora varato alcun testo nonostante intorno alle 22,00 locali il presidente americano, Barack Obama, insieme con altri quattro paesi (Cina, India, Sudafrica e Brasile), più l’Ue, abbia sposato un accordo “significativo” anche se non basta.

Un accordo senza cifre sulle riduzioni della Co2, con il riconoscimento dei dati scientifici che stabiliscono a 2 gradi il massimo di aumento della temperatura, e con una certezza solo sui fondi, 30 miliardi di dollari nel triennio 2010-2012 e 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020.

A vincere è stata la Cina, che aveva rifiutato il target di emissioni globali al 2050 del 50% per tutti i paesi.

L’Ue accetta, anche se in modo timido, e il presidente francese, Nicolas Sarkozy esprime “delusione” per il mancato riferimento al taglio delle emissioni globali e annuncia una nuova Conferenza a Bonn entro 6 mesi.

Ma proprio nella notte sul documento si accendono gli animi.

Nella sessione Plenaria della Conferenza, quando tutto sembrava scontato, parte il fuoco di fila dei paesi latini che contestano la procedura che ha portato al testo. A capitanare la ‘rivolta’ é ancora una volta il simbolo della Conferenza, il piccolo Arcipelago del Pacifico, Tuvalu, che rischia di affondare sotto la spinta dei cambiamenti climatici. Il primo ministro Apisai Ielemia mette in chiaro che il futuro del suo piccolo stato “non è in vendita” e cita i 30 denari di Giuda. Un applauso spontaneo e scrosciante ha sottolineato il suo intervento. Sulla stessa linea d’onda intervengono a raffica Venezuela, Cuba, Costa Rica, Bolivia. Quindi prende la parola il Nicaragua ‘strappandola’ agli Stati Uniti. Il Nicaragua presenta una mozione, poi ritirata.

Nel pomeriggio di venerdì l’asse Usa-Cina aveva messo il sigillo sul vertice. La mattina, al suo arrivo a Copenaghen, il presidente americano, Barack Obama, aveva subito precisato: “Siamo qui non per parlare ma per agire” chiamando il mondo a un accordo anche “se imperfetto”.

Obama aveva anche detto che “l’America è pronta a prendersi le sue responsabilità in quanto leader”. “Non sareste qui se non foste convinti che il pericolo è reale. Il cambiamento climatico non è fantascienza, ma è scienza, è reale”.

Alla fine l’applauso è stato freddo e più di cortesia che di giubilo. Dagli Usa infatti non sono arrivati nuovi impegni. Il presidente Usa ieri ha confermato la posizione interna e gli aiuti ai paesi in via di sviluppo ma nulla di più. Certo, ha ribadito la riduzione di C02 del 17% entro il 2020 rispetto al 2005, così come previsto dalla legislazione pendente davanti al Congresso.

Obama intanto è tornato a casa e è

Barack Obama

atterrato alla base di Andrews, vicino Washington, di rientro dal vertice di Copenhagen. Obama è stato costretto ad anticipare il ritorno per via del maltempo, secondo quanto riferito dalla Casa Bianca.

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