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Corea del Nord, “i campi di lavoro esistono”, ammette Pyongyang

di Maria Elena Perrero |8 Ottobre 2014 13:09

Kim Jong-un (Foto Lapresse)

PYONGYANG –  “Sì, in Corea del Nord ci sono i campi di lavoro. Ma si tratta, appunto, di campi di rieducazione attraverso il lavoro, non di campi di detenzione”: dal Paese dello svanito Kim Jong-un arriva una quasi ammissione dell’esistenza dei campi di lavoro, già svelati da Google Maps. E’ il ministro degli Esteri con delega alle relazioni con l’Unione europea e ai diritti umani Choe Myong Nam a dire, in conferenza stampa, che nel suo Paese ci sono campi di rieducazione. Ma non certo, sostiene, “campi di prigionia, lager o cose simili”.

Quella di Choe Myong Nam è una ammissione storica, la prima di Pyongyang di fronte alla comunità internazionale. I campi nordcoreani sono destinati a delinquenti comuni e a prigionieri politici, anche se la maggior parte di questi ultimi sconta la propria pena in veri e propri lager. Qui, secondo i dati del governo sudcoreano, sarebbero rinchiuse più di 150mila persone, 200mila secondo Washington.

Ma tra i detenuti dei campi ci sono anche figli e nipoti dei condannati, gente che non c’entra nulla e che non ha mai commesso nulla, nemmeno la semplice dissidenza. In Corea del Nord, infatti, esiste una legge che prevede la “punizione per tre generazioni” dei condannati per alcuni reati.

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